sabato 8 settembre 2018


Avrà luogo a Spinazzola (Bt), per la prima volta in Puglia, nei giorni 17-18 settembre 2018 il Premio Internazionale “Rosario Livatino-Antonino Saetta- Gaetano Costa”.
Il Memorial giunto alla sua XXIV° edizione è a cura del Comitato Spontaneo Antimafia “Livatino - Saetta - Costa” di Riposto (Ct) Presidente dott. Attilio Cavallaro per la Puglia il giornalista Cosimo Forina.  Durante la cerimonia saranno ricordati gli Agenti di Polizia Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Uomini della scorta del Giudice Giovanni Falcone vittime della strage di Capaci.
Lunedì 17 Settembre 2018 ore 19:00 presso la Sala Innocenzo XII - Piazza Plebiscito di Spinazzola presentazione ed incontro con l’autore Salvatore Renna del libro auto-prodotto “Un giudice ragazzino.
Martedì 18 Settembre 2018 ore 9:00 presso l’Aula Magna dell’Istituto Comprensivo “Giuseppe Mazzini” saranno consegnate le pergamene all’Impegno Sociale 2018, a Istituzioni dello Stato e a Cittadini meritevoli, i quali attraverso il loro esempio sono riferimento di principi morali, di servizio verso la società.
Diverse le tematiche che attraverso i premiati si vogliono evidenziare in questa XXIV edizione del Premio “Livatino-Saetta-Costa: contrasto alla criminalità, sostegno alle vittime di mafia, evocazione delle pagine più drammatiche del nostro recente passato Brigate rosse, Gladio, Aldo Moro. Sindaci a rischio per la loro coerenza amministrativa. Supporto alla ricerca scientifica e a chi opera nella formazione. Il cinema con la sua narrazione che pone particolare attenzione al disagio mentale e all’integrazione di ogni persona, risorsa, pur nella sua diversità della società. La difesa dell’ambiente e del paesaggio contro lo scempio dell’eolico. Il diritto dei migranti ed il loro inserimento sociale su beni confiscati alla mafia. Lo sport forza aggregante dei giovani e di contrasto alla criminalità. Non ultimi quanti operano per la Pace.
Non professionisti dell’antimafia da salotti televisivi. Quello che viene presentato a Spinazzola è uno spaccato dell’Italia reale che si fa attraverso il proprio vissuto, spesso ponendo a rischio la propria vita in difesa di quelli degli altri, testimonianza vera, tangibile, garanzia nella difesa della Giustizia e della Legalità.
Ventotto anni fa il 21 settembre 1990 ad Agrigento veniva ucciso dalla mafia il Giudice Rosario Livatino. Salvatore Renna giovane illustratore e vignettista di Gravina di Puglia ha voluto tracciarne il ricordo attraverso un lavoro di fantasia impreziosito dalle sue tavole che narrano quanto il racconto del testo.
Che cos’è la giustizia? E’ l’interrogativo che un ragazzino siciliano di nome Rosario pone al padre dopo aver letto le parole riportate sulla stele dedicata al giudice Livatino. Il papà, per soddisfare la sua curiosità, non gli risponde ricorrendo a formule magiche o preconfezionate, ma lo prende per mano e lo conduce gradualmente a scoprire il significato e il valore della Giustizia attraverso racconti ricchi di metafore che hanno un valore altamente pedagogico.
Salvatore Renna di adozione maceratese è laureato in conservazione e gestione dei beni culturali e laureando in management dei Beni Culturali. Tra le sue pubblicazioni “Eterna Primavera” nel 2017. Romanzo grafico incentrato sul caso dei “Fidanzatini di Policoro” due ventenni ritrovati privi di vita il 23 marzo 1988.  

domenica 2 settembre 2018



OCCHI AL CIELO 

Centinaia di falchi Grillai volteggiano al tramonto nei pressi della Stazione della Polizia Stradale di Spinazzola. Uno scenario davvero suggestivo. 




Perché così tanti?
A spiegarcene la ragione dopo aver visionato le bellissime fotografie di Raffaele D’Oria, Enzo Cripezzi responsabile Lipu - Puglia: 
“Si tratta di dormitorio post-riproduttivo di Grillai. Si irradiano al mattino per poi radunarsi al tramonto insieme ai giovani dell’anno, che in questo modo prendono confidenza con il territorio e le disponibilità offerte. Non è automatico ma contribuisce alla colonizzazione di nuove aree riproduttive. Infatti Spinazzola è ancora un mistero; si vede qualche individuo durante il periodo riproduttivo ma nidificazioni certe e stabili ancora nulla (almeno dimostrate). Però… è nell’aria che prima o poi torneranno a nidificare stabilmente nel centro storico di Spinazzola”.
Ecco cosa sapere di un sito dormitorio e come agire per la sua salvaguardia


La scelta dei siti-dormitorio da parte del falco grillaio non è mai fortuita. Questi siti/alberi sono scelti per il loro specifico microclima legato all’ubicazione, che fa sentire la colonia protetta. Anche un solo elemento di disturbo in questi siti genera sfasamento e confusione nella colonia, cosicché una volta che un singolo albero viene tagliato per vietare agli esemplari di appollaiarsi, è possibile osservare molti di questi esemplari volare tutt’intorno al centro urbano o girovagare per la campagna senza possibilità di riposo.
Questa è la ragione per cui il Piano d’Azione UE afferma che “la presenza di alberi singoli o fili metallici (per appollaiarsi, riposarsi ecc.) vicino le colonie sembra favorevole, in particolare nel periodo in cui mettono le piume e nel periodo pre-migratorio (De Frutos et al., 2009; Franco et al., 2005). 
Posatoi-dormitori comuni post-riproduzione per adulti ed esemplari giovani sono un elemento importante nel loro ciclo di riproduzione, da luglio inoltrato fino a settembre inoltrato (pre-migrazione).
I posatoi-dormitori sono grandi siti ove sostare, concentrando la gran parte della popolazione in accoppiamento. Sono necessarie delle condizioni favorevoli per appollaiarsi e cacciare affinché si possa permettere alla specie di prepararsi per la migrazione. La specie è abbastanza conservatrice e usa gli stessi alberi per molti anni. I siti-dormitorio più noti dovrebbero essere protetti”, Piano d’Azione UE, p. 8.L’efficacia dell’azione – che segue specifici obblighi formativi contenuti nel Regolamento Regionale 24/2005 – dovrebbe essere ripagata ai seguenti diversi livelli:
1) la sensibilizzazione dei proprietari di siti-dormitorio, attraverso incontri porta a porta, seguita da eventi pubblici collettivi, migliorerà lo stato di protezione della specie vietando il taglio di siti-dormitorio noti e ben individuati (BACHECHE),
2) la localizzazione di questi siti, ottenuta attraverso la mappatura e l’uso del GPS, sarà seguita dalla collocazione di bacheche profane che mostreranno il logo LIFE+ and Natura 2000 Network e la frase “con il contributo economico della CE” e spiegando le caratteristiche della specie e l’importanza del sito per la sua salvaguardia. Questo contrassegno specifico fornirà a questi luoghi lo status speciale sul territorio, chiaramente identificabile,
3) un periodico e dedicato servizio di pulizia servirà a eliminare una delle maggiori cause di lamentela da parte dei proprietari di siti-dormitorio e della popolazione, contribuendo a rendere più accettabile la presenza di una tale enorme colonia,
4) la collocazione di pannelli o teloni sotto il fogliame degli alberi impedirà al guano di spargersi tutt’intorno all’albero del dormitorio e facilitare il periodico servizio di pulizia dedicato.


Intanto ancora per qualche giorno emozione.


lunedì 30 aprile 2018


Quelle vite aggredite dalle pale eoliche


Paesaggi contaminati / Il rumore è assordante, l’intermittenza della luce provoca fastidiosi disturbi: siamo andati a Balvano, Potenza, dove due emigranti sono tornati a vivere. E si sono ritrovati questo davanti alle finestre. Perché qui intorno le turbine sono spuntate come funghi. La Puglia ha il numero maggiore, ma è la Basilicata che ha l’incremento più veloce


di Carlo Vulpio, la Lettura, 29/4/2018
(ha collaborato Cosimo Forina)

Balvano (Potenza)
Perché sulle Dolomiti trivenete non ci sono pale eoliche e sulle Piccole Dolomiti lucane invece sì? Non per il vento, che in Basilicata è molto più debole e in alcune aeree addirittura insufficiente a far ruotare eliche il cui diametro può arrivare a 60 metri. Non per la minore bellezza del paesaggio. Non per la morfologia delle montagne, che risalgono a 15 milioni di anni fa e le fanno molto assomigliare a quelle più famose del Nord, tanto da averne mutuato il nome. E allora perché lì non ci sono torri eoliche, e nessuno si azzarderebbe a piantarne, e invece in Basilicata (e in Puglia, Sicilia, Calabria, Sardegna, Molise, Campania — qui però fino alla legge regionale del 2016, che ha fermato lo scempio) l’eolico selvaggio si sta mangiando la terra e le montagne, riducendole a una wasteland di spettrali foreste di acciaio?
La Basilicata è irriconoscibile. Torri eoliche ovunque, alte anche cento metri, come palazzi di venti piani. O fungaie di pali di 20-30 metri (il cosiddetto «mini» eolico, turbìne al di sotto di 1 megawatt) addossati l’uno all’altro, senza regole né legge. Le torri, poco più di 500 fino all’anno scorso, adesso sono circa 700 e per un altro centinaio sarebbero già pronte le autorizzazioni. La Puglia è la regione italiana più devastata dalle pale eoliche, ma la Basilicata, con appena 10 mila chilometri quadrati di superficie e 560 mila abitanti sparpagliati in 131 Comuni, ha il primato dell’incremento più veloce di impianti in tutto il Sud, isole comprese, dove pure in sole 8 regioni si concentrano 6.400 delle 6.600 pale (dati 2017) che a volte sì, a volte no, girano in Italia.
Da Balvano a Ricigliano, a Ruoti, Pietragalla, Oppido Lucano, Tolve, Cancellara, Melfi, Venosa, Genzano, fino a Montalbano Jonico, una «tempesta di vento» sta stuprando il paesaggio sotto gli occhi di tutti, nonostante tutti sappiano che l’energia prodotta da questa fonte (per la quale lo Stato ha sborsato 1,7 miliardi di euro di sussidi a vario titolo nel solo 2017) incida soltanto per l’1,5 per cento sulla produzione nazionale totale di energia.
Quello della Basilicata è un caso esemplare, quasi perfetto, di convergenza di tutti i «fattori» necessari affinché lo scempio prosegua inarrestabile: i soldi, cioè il meccanismo di incentivi pubblici per l’eolico, che non ha paragoni nel resto del mondo; i poteri pubblici, con autorizzazioni di Comuni e Regione che comportano pesanti trasformazioni urbanistiche e sembrano fatte in serie; i privati, accecati dalle somme pagate dagli «sviluppatori», tra gli 8 e i 10 mila euro all’anno per vent’anni, con l’affitto di mille metri quadrati di terreno agricolo da «far fruttare» grazie alla torre eolica; il senso di inutilità delle denunce, considerata la inconsistente azione degli organi giudiziari; la forza di intimidazione, esercitata con minacce e pestaggi nei confronti di chiunque si opponga, agricoltori, cittadini e da ultimo i (pochi) giornalisti che osano raccontare cosa sta accadendo.


Balvano ha 1.800 abitanti e il 23 novembre 1980 fu uno degli epicentri del devastante terremoto dell’Irpinia (3 mila morti, 9 mila feriti, 280 mila sfollati). Quella sera, per la Messa delle 19.30 nella chiesa di Santa Maria Assunta c’erano 77 persone, 66 delle quali adolescenti. Morirono tutti. Sempre qui, il 3 marzo 1944, avvenne il più grave incidente ferroviario della storia italiana per numero di vittime. Il treno si fermò in una galleria, non riusciva a vincere la pendenza e 517 persone morirono come topi per l’ambiente saturo di monossido di carbonio.
Due tragedie che serve ricordare, perché piegarono la volontà anche di quelli che non volevano andarsene e che invece dopo questi lutti si arresero ed emigrarono in massa. Alcuni di loro, andati via che erano bambini, pur di tornare a vivere nella terra d’origine hanno impiegato i risparmi di decenni di lavoro per costruire qui la propria casa, sfidando la «sfortuna» di Balvano. Come hanno fatto Mario Bagnulo, 46 anni, per ventotto chef nel Nord Italia, e Giovanni Bovino, 56 anni, per trentaquattro ristoratore in Germania, rimpatriati con l’orgoglio di avercela fatta e carichi di ottimismo per il futuro. Ma proprio qui, in contrada Cupolo, in piena campagna, Bagnulo e Bovino invece che in paradiso si sono ritrovati all’inferno.
In un paio d’anni i signori dell’eolico selvaggio hanno circondato le loro case con decine di torri eoliche. I Bovino e i Bagnulo non riescono più a dormire e i loro bambini non vogliono nemmeno uscire a giocare all’aria aperta, soffrono come se vivessero in una metropoli caotica. Il rumore costante degli aerogeneratori — di cui ci siamo resi conto fermandoci qui per una giornata — penetra come un trapano nel cervello per 24 ore al giorno. A questo, si aggiunge l’effetto shadow flickering (sfarfallio dell’ombra): le eliche, girando, provocano una intermittenza luce-ombra che disturba la vista e può causare attacchi di epilessia fotosensibile.
Bagnulo e Bovino hanno denunciato tutto a tutti, all’Arpab (l’Agenzia regionale di protezione ambientale), al prefetto, agli uffici regionali e comunali e anche alla magistratura. Invano. Finora, a parte i cronisti del piccolo ma seguitissimo giornale «Basilicata24», nessuno li ha seriamente presi in considerazione. «Vogliono che ci arrendiamo per stanchezza — dicono a «la Lettura» — e che abbandoniamo le nostre case, o che magari ce ne andiamo di nuovo all’estero, così verranno zittite anche le poche voci che denunciano questa violenza contro la natura, il paesaggio e gli uomini». Ma se Bagnulo è combattivo e non demorde, e intende rivolgersi alla Commissione europea, e chiede che intervenga il capo dello Stato, e vuole scrivere anche al Papa, Bovino è scettico, deluso, stremato. Ci porta sotto a un pero fiorito, mostra il cappio che penzola da un ramo e dice: «Se non si risolve questa storia mi impiccherò qui, sotto le pale eoliche». La sua casa è circondata da 15 pale eoliche. Quindici. Concentrate in un solo ettaro di terra. Una pala ogni 666 metri quadrati.
Balvano, con Ricigliano, Muro Lucano, Bella, Avigliano, fino ad Acerenza, si trova in un luogo meraviglioso. Un’opera d’arte naturale di montagne e valli verdissime e di panorami che possono competere con quelli alpini e andrebbero tutelati allo stesso modo, come vuole l’articolo 9 della Costituzione, e che invece vengono sfregiati senza vergogna, come hanno fatto con Palmira i tagliagole dell’Isis.
Semplice il meccanismo ingannatore: si fraziona un terreno agricolo in tante particelle, che si fanno passare di mano con vorticosi cambi di proprietà, si presenta una Pas (Procedura abilitativa semplificata) o una Dia (Denuncia di inizio attività) e così una trasformazione urbanistica profonda, che cambia la caratteristica di centinaia di ettari di terreno da agricolo a industriale-commerciale, passa come fosse una piccola modifica interna di una abitazione privata. Niente Vas (Valutazione ambientale strategica) e magari una accomodante Via (Valutazione di impatto ambientale) ed ecco che sulle cime di Ricigliano lo sventramento della montagna per piantarci piloni alti 80 metri con fondazioni profonde venti, gli sbancamenti per aprire strade camionabili e tracciare cavidotti possono far nascere un «parco» eolico, pubblicizzato come fosse non un’area deforestata e violata, ma imboschita con nuove piante.
Se c’è una sentenza del Tar Basilicata che impone al sindaco, la massima autorità sanitaria del Comune, di bloccare le turbine che provocano danni acustici, non vale. E se ce n’è un’altra del Tar Marche che vuole l’impianto eolico a una distanza non inferiore a 300 metri dalla più vicina abitazione, non serve. Ma poi, dov’è qui la Regione? Dov’è il sindaco di Balvano? E quello di Tolve? E quello di Cancellara, che è anche un carabiniere in servizio e amministra un paesino di 1.200 abitanti che ha 120 pale eoliche, una ogni 10 persone?
La Regione Basilicata non ha ancora un Piano paesaggistico e una legge regionale e tarda senza motivo a dotarsene, cosicché il bluff della «energia pulita» è al tempo stesso l’El Dorado di piccole società con 10 mila euro di capitale sociale che fanno capo a fondi di investimento anonimi e la ghigliottina (letteralmente) che decapita le specie volatili migratorie e locali, come il nibbio reale, il corvo reale, il falco pellegrino, il rondone, il gheppio. Mentre il sindaco di Balvano, Costantino Di Carlo, e quello di Tolve, Pasquale Pepe — il primo del Pd ma alle ultime elezioni alacre sostenitore dei Cinquestelle, il secondo di An e velocemente passato alla Lega, con cui è diventato anche senatore —, puntano al consenso procurato dai soldi, quelli donati come «compensazioni» dalle imprese ai Comuni e quelli pagati dagli «sviluppatori» alla schiera di proprietari dei terreni agricoli da parcellizzare e riempire di torri eoliche.
Il vicesindaco di Balvano, Domenico Teta, per dire, è un esempio di trinità: da amministratore di «Tegest Energy srl» chiede l’autorizzazione per l’allacciamento dell’Enel agli impianti eolici della sua Tegest, come ingegnere cura la parte tecnica e come vicesindaco presiede la giunta comunale che deve deliberare, e che naturalmente approva: otto belle Pas per otto pale eoliche, esecutività immediata.
Non meraviglia quindi il silenzio generale che ha inghiottito il pestaggio del 15 marzo scorso subìto dall’agricoltore Giuseppe Fidanza e dai cronisti Giusi Cavallo e Michele Finizio di «Basilicata24», che a Tolve erano andati a visitare l’ennesimo cantiere di nuovi impianti eolici. Nemmeno l’Ordine dei giornalisti e la Federazione nazionale della stampa ne hanno parlato. Mentre il servizio pubblico televisivo, il Tgr Basilicata, lo ha addirittura derubricato a «lite», quando invece dalle immagini filmate con uno dei cellulari delle vittime, e messe in Rete, è evidente che si è trattato di una aggressione ancora più grave di quelle di Ostia (la testata di un membro del clan Spada a un giornalista Rai) e di Roma (lo schiaffo dell’ex ministro Landolfi a un cronista de La7). A Tolve infatti i picchiatori, che la Digos avrebbe identificato come i figli del titolare di una delle imprese che sta lavorando al nuovo parco eolico, hanno distrutto uno dei cellulari dei giornalisti — che dalla strada stavano fotografando i luoghi dei lavori — e poi li hanno inseguiti, e a calci e pugni hanno spaccato la testa al povero Giuseppe Fidanza. Un messaggio vigliacco e arrogante, come l’inarrestabile avanzata delle foreste di acciaio che stanno sfigurando il paesaggio lucano. 
Matera, però, è capitale europea della Cultura 2019.

Scheda / La situazione in Campania
La Campania, terza regione italiana per numero di pale eoliche, nel 2016, con la giunta De Luca, si è dotata di una legge regionale contro l’eolico selvaggio. Le aziende del settore hanno fatto ricorso al Tar, ma la Regione ha resistito in giudizio e ha riaffermato la necessità di evitare l’effetto-selva e di impedire la saturazione per tutelare il paesaggio. Il Tar ha riconosciuto che «il territorio è una risorsa limitata e non riproducibile, sicché se in tali zone è già stato realizzato un considerevole numero di impianti non può essere ritenuto irragionevole un divieto di ulteriori installazioni». La «risposta» è arrivata subito, con 7 attentati di stampo mafioso legati all’eolico selvaggio: mezzi incendiati, bombe e attentati a cabine e sottostazioni elettriche.