martedì 1 marzo 2022

 IL CASO GROTTELLINE-CRONACA DI UN GIORNALISTA IN PROVINCIA"

Intervista a Quintopotere.it con Antonio Loconte
Quella di Grotteline e del suo sito è stata una vicenda che si è mossa per anni tra burocrazia, interessi politici e battaglie. Cosimo Forina, nonostante le difficoltà, non si è mai arreso e oggi il suo libro ci lascia in eredità una lezione del vero giornalismo d'inchiesta.
Per acquisto copie, incontri con l'autore, visite ai luoghi del libro
E - mail : ilcasogrottelline@gmail.com



martedì 22 febbraio 2022


Traffico transfrontaliero illegale:  
La Tunisia rispedisce in Italia ottomila tonnellate di rifiuti



Rispediti in Italia i 213 container sequestrati in Tunisia nel 2020 (8.000 tonnellate di rifiuti) con la nave Arkas partita il 19 febbraio dal porto di Sousse diretta a Salerno.

Rifiuti importati illegalmente dalla società tunisina Soreplast di Moureddine (Sousse) – autorizzata a ricevere e trattare rifiuti di plastica da riciclare – che avrebbe dovuto incassare 48 euro per ogni tonnellata dalla società Sviluppo Risorse Ambientali (Sra) con sede a Polla (Sa).


Una bazzecola rispetto al costo di smaltimento in Italia di rifiuti trattati destinati in discarica.

Società che dichiara di essere: “non una semplice azienda operante nel campo del trattamento dei rifiuti in Campania, e parte integrante dei grandi sistemi di recupero e riciclo che ci consentono di affrontare le sfide più importanti del terzo millennio”.

Il contenuto di altri 72 container trasferiti prima del sequestro nel porto Sousse nei depositi della Soreplast (1.900 tonnellate) erano andati a fuoco il 29 dicembre del 2021. Il giorno prima, 28 dicembre, si era svolto l’incontro tra il presidente della Repubblica tunisina, Kais Saied e il ministro degli esteri italiano Luigi Di Maio per programmare la restituzione dei rifiuti.

Il 7 gennaio 2022 Othman Jerandi ministro degli esteri tunisino aveva confermato


l’imminente rimpatrio dei rifiuti in Italia, accordo poi sottoscritto a Napoli tra il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca e l’ambasciatore di Tunisia in Italia, Moez Sinaoui.

La Regione Campania aveva certificato l’idoneità all’esportazione dei rifiuti risultati in violazione degli accordi di Basilea del 1989, ovvero la “Convenzione sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento”, nonché della “Convenzione di Bamako sul divieto di importazione in Africa e nel controllo dei movimenti transfrontalieri e la gestione dei rifiuti pericolosi in Africa”.

Costi del rimpatrio e altri oneri a carico dello Stato italiano.


Due le indagini in corso per accertare le responsabilità nella falsificazione dei documenti.

Quella tunisina: a finire in carcere l’ex ministro dell’Ambiente e degli Affari locali tunisino, Mustapha Aroui, latitante il titolare della Soreplast di Moureddine. La procura generale della Corte d’appello di Sousse ha confermato le accuse nei confronti di 21 persone.

Quella italiana: il procuratore Giuseppe Borrelli del Tribunale della Repubblica di Salerno, ha dichiarato alla Commissione parlamentare d’inchiesta che non si è potuta effettuare la rogatoria per ispezionare i container in Tunisia durante il loro fermo nel porto di Sousse, pertanto si attende l’arrivo in Italia per scoprire esattamente di che rifiuti si tratta, se domestici trattati come dichiarato, non escludendo altre più gravi ipotesi.

Predisposta un’area militare a Salerno dove i container saranno portati dopo lo sbarco e posti a disposizione dell’autorità giudiziaria.

L’audizione di Borrelli è stata più volte sospesa, segretata (audio e video) quasi nella sua


totalità.

Lo scandalo in Tunisia era esploso dopo l’inchiesta del giornalista Hambi Ben Salah – della tv privata El Hiwar Ettounsi -, il quale ha poi guidato la rivolta dei cittadini.

La denuncia più significativa in Italia rilanciata dai media (ottobre 2021) durante il Forum sull’economia dei rifiuti promosso dal PolieCo (Consorzio nazionale dei rifiuti dei beni in polietilene) presidente Enrico Bobbio, direttrice Claudia Salvestrini.


Durante il Forum il deputato del parlamento della Tunisia Majdi Karbai aveva mostrato un video inedito evidenziando la totale inidoneità della Soreplast a ricevere i rifiuti dall’Italia stoccati in un capannone privo di impianti di trattamento, affermando: «Se fossimo stati un qualsiasi altro paese europeo, lo scandalo accaduto in Tunisia sarebbe stato urlato ed invece trattandosi del mio paese c’è stato un silenzio assordante ed imbarazzante. Un silenzio che però non cancella quanto è stato permesso e quanto ancora sta avvenendo».

Il traffico dei rifiuti in Italia è una voragine in cui spariscono milioni di euro ogni giorno, gestito tanto dalla criminalità che dai facilitatori delle carte a posto. A pagare cittadini e ambiente nel mondo.

Nell’accordo tra Italia e Tunisia prevista anche la restituzione dei rifiuti incendiati al momento depositati nel magazzino a Mourredine.

 

lunedì 21 febbraio 2022


 

 

IN PUGLIA IL PROGETTO “IPERDURUM”

Innovazione varietale, qualità e tracciabilità delle produzioni pugliesi nella filiera frumento duro.

Coinvolte Università di Bari, aziende del mondo agricolo e della trasformazione.

 

Agroecologia, ovvero l’agricoltura associata al rispetto e alla salvaguardia dell'ambiente è quanto si propone il progetto IPERDURUM” finanziato con i fondi del “PSR PUGLIA 2014/2020 (€ 499.072,26).

Nella Puglia, granaio dell’Italia, si punta ad una maggiore redditività della coltura del frumento, non solo per l’agrotecnica utilizzata, attraverso un seme non ogm (organismo geneticamente modificato) capace di fornire granella idonea per la produzione di paste alimentari di elevate qualità, di pani tipici regionali, di prodotti dietetici, pasta iperproteica.  

Un “super grano” che sia più resistente alle micotossine, contenga una maggiore quantità di proteine, aiuti a concimare in maniera più razionale i terreni e abbia valori nutrizionali superiori.   

Capofila del progetto l’azienda Coop La Piramide, referente scientifico la prof.ssa Agata Gadaleta docente di genetica vegetale nel Dipartimento di Scienze Agro Ambientali e Territoriali dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Altri partner: Innovative Solutions srl, CIA Puglia, Vueffe Consulting srl, Agrocepi Foggia, Panbiscò srl, Casa Prencipe snc, Az. Agr. Dipalma Francesco, Agr. Parisi Natale e la Soc. Agr. Denora Giovanni & Figli.  

Il quotidianocontribuenti.com ha incontrato Vito Gallo professore di Chimica presso il Politecnico di Bari coordinatore scientifico del progetto IPERDURUM presso Innovative Solutions.

Professore, quali sono i vantaggi di Iperdurum? E soprattutto, quali soggetti ne trarrebbero vantaggio?

IPERDURUM è un progetto pilota avente l’obiettivo di verificare la validità di nuove varietà di grano adattate agli ambienti pugliesi sia in termini produttivi che commerciali. I vantaggi principali riguardano l’innovazione varietale, quella agronomica e quella sulla tracciabilità.

Il primo vantaggio è legato alla possibilità di identificare, e quindi selezionare facilmente, le varietà di frumento duro più produttive e più adatte agli areali pugliesi e, tra queste, quelle in grado di fornire granella di elevata qualità che si presta meglio alla trasformazione in alimenti ad elevato valore aggiunto quali, ad esempio, prodotti da forno, pasta secca e pasta iperproteica.

Il secondo vantaggio è legato all’individuazione delle pratiche agronomiche più sostenibili sia sul piano ambientale che economico.

Il terzo vantaggio è quello a maggior contenuto tecnologico che consiste nell’introduzione di un sistema di analisi nella certificazione di sistema. Attualmente, la certificazione di sistema è regolamentata da norme e linee guida che hanno l’obiettivo di garantire l’efficienza dei processi aziendali. Tutto si sviluppa nell’alveo della tracciabilità documentale. Con IPERDURUM si introduce il concetto di tracciabilità analitica che si può riassumere in poche parole: con un’unica analisi del prodotto finale si riesce a risalire a una o più caratteristiche del ciclo produttivo. Si estraggono, in pratica, informazioni riguardanti la produzione della materia prima, la sua trasformazione e le fasi di conservazione.

I soggetti beneficiari sono innanzitutto i produttori che vedranno incrementata la produttività e razionalizzati i costi. I consumatori avranno maggiori garanzie di qualità sul prodotto finito. Le imprese coinvolte nella trasformazione beneficeranno dell’ottimizzazione dei loro processi con consistenti razionalizzazioni dei costi.

Quali sono le ricadute ambientali?

Riguardano soprattutto il comparto produttivo in quanto saranno selezionate le pratiche agronomiche più sostenibili. La promozione di pratiche biologiche, che in questo progetto è abbastanza marcata, presenta indubbi vantaggi legati alla riduzione di concimi minerali e prodotti fitosanitari.

Ci spiega, concretamente, come si svolgeranno le fasi di questa sperimentazione?

Le fasi della sperimentazione sono essenzialmente quattro: produzione, selezione delle varietà e produzione di semole iperproteiche, trasformazione in pane e pasta, analisi del prodotto durante l’intero ciclo di vita, dal seme al prodotto finale. Tutte queste fasi vedono un attento coordinamento gestionale e amministrativo, un intenso coordinamento scientifico e un adeguato piano di comunicazione. Il partenariato è piuttosto ricco ed è composto 10 partner impegnati nella produzione, trasformazione, ricerca e comunicazione.

Solo per chiarezza nei confronti dei lettori, sappiamo che la sperimentazione Iperdurum non è ogm. E dunque, come possiamo definirla?

Personalmente non mi piace confinare la ricerca con una definizione. L’eccessiva semplificazione rischia di impoverire l’intero progetto, ma mi rendo conto che è necessario collocarlo in un contesto di facile percezione per un pubblico ampio.

Parto quindi dalla sua considerazione. È corretto affermare che la sperimentazione non è ogm perché non prevede alterazioni genetiche delle varietà di grano impiegate. Si tratta, invece, di una selezione del grano in base alle sue prestazioni agronomiche e tecnologiche. Poiché la valutazione analitica approfondita del grano, delle semole e di pane e pasta riguarda la composizione metabolica, potremmo parlare di una sperimentazione con approccio metabolomico. In altre parole, osserviamo il comportamento e i cambiamenti delle sostanze che compongono un alimento e le rendiamo disponibili ai soggetti coinvolti a vario titolo nel ciclo di vita dell’alimento stesso. In maniera piuttosto pittoresca potrei dire che con questa sperimentazione raccontiamo le avventure del grano nel complesso cammino dal campo alla tavola.

Come nasce la spin off Innovative Solutions srl

Innovative Solutions nasce dalla volontà di valorizzare la ricerca in campo agroalimentare e di introdurre innovazioni nella promozione delle tipicità.

Ancora oggi, quando si parla di analisi di un alimento, il pensiero comune mira subito all’individuazione di sostanze pericolose che potrebbero essere contenute nel cibo. Questo automatismo mentale è la giusta risposta del nostro istinto protettivo. È giusto preoccuparsi perché, in un contesto globale, le caratteristiche del cibo che giunge sulle nostre tavole è sostanzialmente ignoto. Non c’è etichetta che possa rassicurare un consumatore preoccupato. Esiste, però, un altro lato della medaglia. Le analisi possono anche mettere in mostra gli aspetti positivi di un alimento.

Quando abbiamo costituito Innovative Solutions abbiamo voluto dar voce a quegli alimenti ancora poco valorizzati. Ogni alimento porta con sé aspetti interessanti, soprattutto quando è un alimento tipico, legato al territorio e alle tradizioni. Porta con sé il valore nutrizionale, ma anche i sapori caratteristici di particolari ricette. Ma soprattutto, un alimento tipico arricchisce i sensi del consumatore con la cultura e la storia della comunità che lo ha prodotto. Basti pensare, ad esempio, a quanti tipi di pane esistono nel solo bacino del Mediterraneo e a quanti modi diversi di condirlo e associarlo ad altri ingredienti. Sedersi a tavola e gustare il pane legato ad una ben definita tradizione significa non solo alimentarsi, ma viaggiare nello spazio e nel tempo.

Detto questo, è alla valorizzazione della tipicità che puntiamo con le nostre analisi innovative basate sull’impiego combinato della risonanza magnetica e dell’intelligenza artificiale. Rendere riconoscibile in maniera inequivocabile un prodotto tipico in un contesto globale, in generale, significa portare in tavola la dignità del lavoro dei padri.

Ci illustra, nei dettagli, la peculiarità di questa certificazione rilasciata da Innovative Solutions?

Innovative Solutions effettua analisi che potremmo definire “non convenzionali” e che servono ad attestare una caratteristica del prodotto: l’origine geografica, la pratica agronomica, la specificità del processo produttivo e tante altre cose ancora. Una domanda tipica che riceviamo dai nostri clienti è: posso distinguere il grano pugliese da quello estero? O l’olio, o il vino? Certo che si può! Per farlo dobbiamo prenderci per mano col cliente e camminare nell’ambito delle certificazioni di sistema. Le nostre sono le prime analisi, necessarie, a supporto delle certificazioni di sistema.

Si è parlato tanto, o forse ancora troppo poco, di nutriscore. Può far capire ai nostri lettori, cosa è nutriscore e quali sono le perplessità che questo strumento ha sollevato?

Il nutriscore è un sistema estremamente semplificato di valutazione della salubrità di un alimento. In sostanza si tratta di un’etichetta che, mediante l’uso di colori e lettere, esprime una valutazione sulla bontà di un alimento.

Personalmente sono molto critico sull’utilità di questo strumento, anzi credo che sia alquanto dannoso perché non ritengo opportuno che si attribuisca un livello di salubrità ad un alimento impiegando un semplice colore. Così si impoverisce la cultura alimentare, si impoverisce la dieta e si favoriscono pericolosi meccanismi mentali che affliggono molti consumatori. Una dieta sana, in generale, deve essere molto varia. Tutti gli alimenti devono essere consumati. Eventuali limitazioni devono essere prescritte solo da chi ha le competenze per farlo. Il nutriscore, invece, alimenta nel consumatore la presunzione di possedere la scienza della nutrizione e questo mi sembra, sinceramente, molto pericoloso. Selezionare preferenzialmente gli alimenti col semaforo verde e rinunciare agli alimenti col semaforo rosso significa alterare la dieta in maniera irrazionale. Ci vorrebbe invece una campagna di formazione continua che porti il consumatore ad essere consapevole dei pro e dei contro di un alimento. Ad esempio, il vino ha notevoli proprietà salutistiche che si esplicano se il suo consumo è equilibrato. Diventa una bevanda pericolosa se il suo consumo diventa smodato. È la cultura dell’equilibrio che dovremmo incentivare, non la cultura semplicistica della discriminazione, anche quando parliamo di alimenti.

Lei pensa che Iperdurum sarà la risposta che si aspettano i produttori agricoli e l'industria di trasformazione?

Dopo aver visto le reazioni entusiastiche di produttori e trasformatori coinvolti nel progetto durante le prove preliminari di panificazione e pastificazione sono abbastanza confidente sull’efficacia del progetto nel soddisfacimento delle loro aspettative.

Le dico solo che, durante le manifestazioni pubbliche di assaggio, io non sono riuscito ad assaggiare un briciolo di pane. Non era prodotto in piccole quantità ed è andato a ruba. Lei come interpreterebbe questo risultato?

Alla luce di questa sua ultima considerazione, lei ritiene che Iperdurum abbia concrete possibilità di essere inserito nel disciplinare del pane DOP di Altamura? E infine, riuscirà a soddisfare la domanda della filiera del grano duro?

Mi piacerebbe rispondere con un secco sì. Purtroppo, l’argomento è molto complesso e coinvolge molti soggetti, privati e istituzionali. Solo il tempo potrà dare una risposta. Io posso solo dire che noi ci impegneremo e saremo al fianco dei produttori e delle imprese.

https://www.quotidianocontribuenti.com/new/puglia-granaio-ditalia-il-progetto-iperdurum/ 

sabato 12 febbraio 2022


 

CASTELLO DEL GARAGNONE

Antonio Carrabba, una tela, un principe, un territorio



Il Principe Alberto di Monaco il 21 aprile visiterà i ruderi del castello del Garagnone (600 m s.l.m. territorio di Spinazzola, area nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia) che fu feudo dei Grimaldi, concesso per fedeltà agli Asburgo dall'imperatore Carlo V nel 1532.


«Alberto di Monaco
, tramite il suo staff, - ha dichiarato Francesco Tarantini presidente del Parco Nazionale – ha scoperto ultimamente che la storia del maniero si intreccia con quella della famiglia Grimaldi».

Il toponimo “Garagnone,” stando ad alcune fonti, potrebbe aver avuto origine da Robertus Guadagna, uno tra i primi cavalieri normanni giunti in Italia meridionale, presente sul territorio dal 1048.

Per svelare l’arcano bisogna partire dal 2008, da Antonio Carrabba (1935-1999) studioso e appassionato di storia locale, lucana e pugliese, cultore di archeologia ed epigrafia, autore di diverse pubblicazioni in particolare sui templari, insignito dell’“Ordine al Merito” dal Presidente della Repubblica Oscar L. Scalfaro.

Il suo studio era il luogo dove amava condividere ricerche, impegno sociale e politico, e anche dopo la sua scomparsa resta una miniera del sapere custodita integra nella sua sacralità da Nino, suo fratello.

In sua compagnia, salendo sul soppalco dello studio, mi capitò di osservare, tra i vari oggetti appartenuti a Tonio, una cornice a giorno cm 7x10 che custodiva la riproduzione di un’opera davvero singolare, ignota, con questa didascalia:

“Tav 7 – Castel Guaragnone, feudo dei Grimaldi, nei primi anni del ‘600. Biblioteca di Palazzo, Monaco. Olio su tela di Anonimo e s.d. (v. nota 34) Foto d’Archivio del Principato di Monaco (per gentile concessione)”.

Nessun riferimento, per quanto cercato tra gli appunti di Tonio, sulla provenienza della riproduzione, da dove fosse stata tratta. Mi fu concessa la possibilità da Nino di riprodurre questa immagine di grande interesse documentaristico.

L’opera pittorica è una particolareggiata raffigurazione di quanto presente sul territorio: in alto si erge il
castello con il suo dominio sulla valle. Poco leggibile il cartiglio presente nel cielo che indica la località, se non per il chiaro riferimento al “Guaragnone”. È questa l’unica immagine in cui è possibile determinare le dimensioni del maniero e la sua architettura andata distrutta in seguito ad un terremoto nel XVIII secolo. Sulle due colline e a valle sono rappresentate tende di accampamento con la presenza degli abitanti e le attività agricole e silvio-pastorali praticate. Un villaggio diffuso dove si distingue in modo particolare la chiesa ancora esistente di quella che si sarebbe sviluppata successivamente come “Masseria Melodia”. Nel registro inferiore sul lato destro è rappresentato un acquitrino o più probabilmente un’area inondata che lascia supporre un avvenimento meteorologico di estremo impatto nel fondovalle. Infine in primo piano i principi Grimaldi con vesti suntuose a passeggio nella loro proprietà.   


Il file è rimasto nel mio archivio fino al 2014 quando da Antonio Amendola - presidente del Comitato per IV° centenario dalla nascita di Antonio Pignatelli (Spinazzola 15/3/1615 –Roma 27/9/1700), salito al soglio pontificio con il nome di Innocenzo XII - mi fu dato incarico di curare la pubblicazione sulla vita del pontefice e sulle peculiarità storiche, archeologiche, artistiche e paesaggistiche del territorio che gli diede i natali (Spinazzola città di Innocenzo XII. Alla scoperta di un territorio da vivere- da ricordare.
Dicembre 2015, D&B Stampagrafica Bongo, Gravina di Puglia).

Per poter utilizzare la riproduzione dell’opera ritrovata nello studio di Tonio Carrabba, Antonio Amendola e l’allora sindaco di Spinazzola Nicola Di Tullio su mia richiesta scrivono al Principato di Monaco. L’epistolario arriva dopo 400 anni che i Grimaldi erano stati i proprietari del feudo del Garagnone. La risposta, unita ad una gigantografia dell’opera custodita a Monaco, non tardò ad arrivare insieme alla richiesta di maggiori notizie tanto sul dipinto che della località rappresentata.

Ed è probabile che proprio da questa corrispondenza tra istituzioni sia nato l’interesse del Principe Alberto a voler far visita al territorio che vide protagonisti i suoi avi.

Ricevuta la risposta positiva, mi fu possibile dopo sei mesi di ricerche dare “il visto si stampi” al mio lavoro. Diecimila copie a diffusione gratuita del progetto interamente finanziato dall’Ente Parco Nazionale dell’Alta Murgia, presidente Cesare Veronico, direttore f.f. Fabio Modesti.

Molti si chiedono il perché la Rocca del Garagnone vicinissima a Poggiorsini ricada nel territorio di Spinazzola. Ecco un altro tassello interessante. Come riportato dallo storico locale Giuseppe D’Angola, solo nel maggio del 1811, con Decreto Reale, il disabitato ex Demanio Feudale di “Castel del Garagnone” (circa 5.700 ettari) venne accatastato per 2/3 nel Comune di Spinazzola, mentre, per il restante terzo al Comune di Altamura – territorio di Gravina. Il Comune di Altamura e il Duca D. Pietro Mazzocchera di Spinazzola, allora Signore del feudo, chiesero la divisione in massa al ‘R. Commissario Riparatore’ una volta entrate in vigore le Leggi Eversive della Feudalità (1806).

È auspicabile che la visita del principe Alberto vada bel oltre la fotografia di rito tanto per l’Ente Parco dell’Alta Murgia - che si accinge ad acquistare i ruderi del Castello del Garagnone - che per il Comune di Spinazzola (sindaco Michele Patruno) e per quello di Poggiorsini (sindaco Ignazio Di Mauro), cittadina legata alla Rocca con l’arrivo degli Orsini. Ovviamente, ci si aspetta che siano invitati all’incontro con Alberto anche Amendola e Di Tullio a cui si deve l’epistolario intercorso con il Principato.

Auspicabile un gemellaggio che possa vedere coinvolta anche l’Università con i suoi ricercatori di storia medioevale. Sarebbe interessante conoscere cosa altro - oltre alla tela - i Grimaldi portarono via nel far ritorno nel loro Principato per poter aggiungere altre conoscenze alla storia locale. Se ad esempio anche loro si accorsero del grande villaggio dell’età del Bronzo posto a valle del Castello scoperto solo nel 1997-98 da Donata Venturo che ne curò gli scavi della Soprintendenza.

È stato un lavoro difficile anche per me quello di ricostruire la storia di Spinazzola e del suo territorio e le ragioni sono contenute in quanto scritto proprio da Tonio: «purtroppo all’incuria degli uomini, alla meschina vanagloria di chi nasconde con gelosia atti e documenti sulla città si è aggiunta l’azione criminale delle truppe tedesche che nel settembre del 1943 incendiò il deposito antiaereo di S. Paolo Belsito presso Nola e distrusse l’Archivio Angioino ivi trasferito». (A. Carrabba, I Templari a Spinazzola e dintorni, pag.15).

Senza la sua amata passione di ricercatore e la riproduzione della tela del Garagnone da lui custodita, probabilmente anche il principe Alberto di Monaco avrebbe ignorato la bellezza e il mistero della Murgia, terra dai colori cangianti e di suggestive storie ed emozioni.


venerdì 7 gennaio 2022


L’azienda “Cavone” di Spinazzola dichiarata inagibile. Una sciatteria che si poteva prevedere


 


L’utilizzo dell’Azienda “Cavone” rientrava nella collaborazione tra l’Ente Parco e il Comune di Spinazzola per il progetto: “Realizzazione di interventi finalizzati alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici da parte degli Enti Parco Nazionali” e gestione del flusso turistico delle “Cave Bauxite”. Ora sono infranti i sogni di gloria e le aspettative di sviluppo dell’area interna murgiana

di Cosimo Forina

L’Azienda Pilota Silvo Pastorale Cavone di Spinazzola (Bt) ricadente nell’area protetta del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, di proprietà del Demanio Regione Puglia e in comodato d’uso da dieci anni all’Agenzia Regionale Attività Irrigue e Forestali (Arif), chiude i battenti. La riapertura è “a data da destinarsi” perché il complesso immobiliare è stato dichiarato inagibile.

L’Arif per la Regione Puglia – di concerto con la Giunta – si occupa di attività antincendio, vivai, agrometeorologia e fitosanitari, xylella, impianti irrigui e forestazione.

Inoltre, l’azienda “Cavone” avrebbe dovuto fungere anche da info point e parcheggio funzionale per agevolare la fruizione delle “Cave di Bauxite su cui recentemente sono stati effettuati lavori. Si tratta di uno tra i luoghi che hanno permesso la candidatura del Parco dell’Alta Murgia a geoparco, e che è stato riprodotto in un francobollo emesso da Poste Italiane.

L’utilizzo dell’Azienda “Cavone” (istanza 2020 che aveva ricevuto parere positivo da Arif), rientrava nella collaborazione tra l’Ente Parco e il Comune di Spinazzola per il progetto: “Realizzazione di interventi finalizzati alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici da parte degli Enti Parco Nazionali” e gestione del flusso turistico delle “Cave Bauxite”.

Ora sono infranti i sogni di gloria e le aspettative di sviluppo dell’area interna murgiana.

La delibera di chiusura dei quattordici fabbricati che compongono il vasto complesso del “Cavone” è arrivata il 30 dicembre 2021 a firma di Francesco Ferraro (direttore generale dell’Arif) ed è scaturita dopo la relazione tecnica, datata 27 dicembre, dell’ing. Domenico Curci il quale dopo una ispezione ha rilevato problematiche su finiture e impianti, dichiarando gli immobili parzialmente inagibili.

Inoltre, al fine di assicurare la totale sicurezza durante gli eventuali lavori di adeguamento che dovrebbero essere assunti dalla proprietà, ha ritenuto incompatibile la presenza nell’Azienda “Cavone” degli operatori dell’Arif e delle imprese esecutrici che presenziano gli ingressi e per le visite guidate.

In pratica allo storico complesso dell’Azienda Pilota Silvo Pastorale Cavone mancherebbe il certificato di agibilità, quello di sicurezza degli impianti elettrici-idrici-fognari-termici e non sarebbero state abbattute le barriere architettoniche per agevolare l’accesso ai disabili e perfino l’attestazione di azienda agricola.

Pronti allo sgombero. Ad Ottavio Lischio, responsabile della struttura, il compito di organizzarsi per “trasferire scorte vive e scorte morte presso altra struttura di ARIF”, ossia animali e cose. Sempre a Lischio, di concerto con il dirigente del personale Francesco Vurchio, “l’organizzazione della ricollocazione del personale presente nell’Azienda “Cavone” presso altre sedi in funzione delle esigenze tecniche delle attività dell’Arif”.

Il preludio dell’abbandono. A venir meno dopo questa decisione – nella sostanza – sono: il contrasto agli incendi boschivi (Bosco di Acquatetta e Sanarico), la valorizzazione del patrimonio ambientale effettuato dall’Arif in questi anni, la tutela dell’inghiottitoio del Cavone che scende nell’abisso sino a novanta metri, quella del sito archeologico dell’età del bronzo e delle incisioni rupestri risalenti all’età dei Metalli. È appena il caso di ricordare che quella del Cavone è una delle aree più suggestive del Parco Nazionale dell’Alta Murgia.

Ed ovviamente quanto successo non poteva che far scaturire polemiche politiche, qualche pianto di coccodrillo e appelli per la perdita di un presidio importante candidato tra l’altro a Fattoria didattica aperta al territorio.

In una nota congiunta il consigliere e il capogruppo regionali di Fratelli d’Italia, Francesco Ventola e Ignazio Zullo, sottolineano: «l’Azienda Cavone sarebbe totalmente abusiva e i 10 anni di gestione dell’Arif fallimentari». Gli stessi hanno chiesto ispezioni su tutti i beni dati in gestione all’Arif al fine di tutelare oltre al patrimonio anche la salute e sicurezza dei lavoratori.

A fargli eco Francesco Tarantini presidente dell’Ente Parco: «Masseria Cavone non può restare chiusa. L’area non può rimanere priva di controllo e in balia dell’illegalità». Sempre Tarantini ha chiesto un urgente tavolo tecnico per accelerare la riapertura all’assessore all’Agricoltura regionale Donato Pentassuglia e al direttore generale dell’Arif.

Cosa sorprende in questa storia paradossale. Con la presa in carico del bene in comodato d’uso l’Arif avrebbe dovuto quanto meno inventariare, con il servizio regionale del patrimonio, lo stato dei luoghi e richiedere alla Regione Puglia gli interventi necessari per superare le carenze strutturali e l’assenza della certificazione di abitabilità, prima o durante il corso di questi dieci anni. Stesso discorso vale per l’Ente Parco e il Comune di Spinazzola in ragione della loro collaborazione di utilizzo del complesso “Cavone”. Come si fa a progettare e richiedere l’affidamento di un bene privo di abitabilità e con carenze strutturali? Un po’ tutto, come si suol dire alla “carlona”.

L’Azienda Pilota Silvo Pastorale Cavone prima di questo declino ha avuto tutt’altra storia a partire dal 1972 quando è stato un centro sperimentale che vedeva coinvolta la Provincia di Bari e il Dipartimento di Produzione Animale della Facoltà di Agraria della Università di Bari sugli arieti meticci con sangue “Gentile di Puglia”, razza “Leccese” e “Comisana” per l’incrocio industriale e il miglioramento genetico delle greggi.

Lo scopo quello di far accrescere la redditività degli allevamenti ovini dell’Alta Murgia Barese perlopiù scomparsi dopo il dissodamento dei pascoli per lasciar spazio ad una coltivazione intensiva e poco redditizia, nella cerealicoltura. Un sapere che avrebbe dovuto avere ricaduta sulla economia a supporto delle peculiarità e identità del territorio davvero importante.

Il centro “Cavone” disponeva a vario titolo di una superficie complessiva aziendale di Ha 457 circa, di cui Ha. 202. bosco, e 235 pascolo nudo oltre a Ha. 20 di seminativo, più i fabbricati destinati alle attività di allevamento ora dichiarati privi di abitabilità.

Presso il centro venivano allevati circa 450 capi ovini di razze diverse come “Comisana”, “Altamura”, “Gentile di Puglia”, e la “Leccese”, oltre a diversi incroci ottenuti tra le stesse razze con l’impiego anche di arieti riproduttori di razze estere.

Adesso sarà una scatola vuota. Su una cosa ha davvero ragione Tarantini: sul rischio che senza una adeguata sorveglianza ad imperare nel complesso potranno essere la criminalità e gli autori di atti vandalici. Ma questa non è una novità per la Murgia.

https://www.quotidianocontribuenti.com/new/lazienda-cavone-di-spinazzola-dichiarata-inagibile-una-sciatteria-che-si-poteva-prevedere/

lunedì 3 gennaio 2022

venerdì 24 dicembre 2021






A NATALE NON DIMENTICHIAMO LA BIDONVILLE PUGLIESE DOVE MUOIONO I BAMBINI
Omertà, omissioni e sfruttamento festeggiano 365 giorni l’anno
Ai disperati un avviso di garanzia - un atto dovuto dicono in Procura



C’è una storia, questa, la morte dei fratellini bulgari di due e quattro anni, Christian e Birka, bruciati mentre dormivano nella baraccopoli di Stornara (Fg) sulla via che porta a Cerignola (Fg) che più che scuotere le coscienze le ha schiaffeggiate.
Dopo la commozione e lo sconforto di circostanza per la disgrazia è sopraggiunta la vergogna verso le istituzioni di uno Stato che si dichiara civile, ma lascia “vivere” in condizioni disumane, di cui tutti sapevano, centinaia di persone.
La ricostruzione della tragedia: verso le nove di venerdì 17 dicembre, la madre dei piccoli va dalla vicina per prendere del caffè. Dal bidoncino in latta utilizzato come stufa partono le fiamme che avvolgono senza lasciare scampo la baracca dove i bambini stavano dormendo. La notizia raggiunge il papà dei piccoli nei campi dove era a lavoro come bracciante a giornata per la raccolta delle olive.
Il pianto straziante della donna, 27 anni lui e 20 lei, porta i Vigili del Fuoco intervenuti per domare l’incendio che si era propagato ad altre baracche, alla scoperta dei corpicini sepolti sotto lamiere e pezzi di legna ancora fumanti.
Christian e Birka erano arrivati lo scorso anno con i genitori Marano Dimitrov Denitar e Ghergeva Naidenova da Burgas, a bordo di uno dei pulmini che fanno la spola tra Italia e Bulgaria, attraversata la Grecia si erano imbarcati a Igoumentisa per poi traghettare fino a Brindisi. Da qui il viaggio era proseguito fino alla bidonville di Stornara, priva delle condizione igienico-sanitarie, non meno di 200 baracche che raggiunge anche tremila presenze nel pieno della campagna agricola.
Tuguri costruiti con materiali di fortuna: travi in legno, lamiere, pannelli di faesite, teli di polietilene probabilmente provenienti dai tendoni di uva contaminati da trattamenti chimici. Luogo, quello della località Contessa, tratturello Regio Ponte Bovino, che ci si affretta a definire un campo Rom, mentre ad abitarlo sono bulgari provenienti da diverse città: Sofia, Sliven, Stara Zagora, tutti con i documenti in regola. Sono braccianti stagionali.
Intorno alla loro stamberga Christian e Birka, come parco giochi da condividere con altri bambini, hanno tonnellate di rifiuti di ogni genere che si sono accumulati da un decennio, da quando è sorto il campo. A fare da colonna sonora il rumore delle pale eoliche piazzate poco distante.
Christian e Birka, molto probabilmente non hanno mai conosciuto altro, questo è stato il loro mondo.
A marzo 2020 ad andare a fuoco su un terreno adiacente al campo furono ecoballe, sostanze plastiche, tessuti, scarti di edilizia abbandonate dalla criminalità campana con la complicità di quella locale.
Troppo piccoli, Christian e Birka, per comprendere che per restare in quell’inferno da quarto mondo - come mantenendo l’anonimato qualcuno inizia a raccontare - anche i loro genitori pagavano un «fitto» a chi vanta «diritti» sull’area della baraccopoli. La famiglia dei Masciavè del clan mafioso omonimo, qualcuno al soggiorno obbligato, deferiti all'Autorità giudiziaria per “gestione di rifiuti non autorizzata”, violazioni in materia di armi e violazione delle prescrizioni di sorveglianza speciale. Nel 2015 beni sequestrati per oltre 1milione dopo l’operazione “Pecunia”, quattordici gli arresti, con accuse di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi, estorsione, usura, ricettazione, furti aggravati ed altro.
Mafiosi a parte, di quel campo tutti sapevano o meglio non potevano non sapere e in pochi hanno cercato di saperne di più. Come l’ex comandante dei vigili Angela Rutigliano, oggi ad Orta Nova dopo aver visto il suo incarico non più rinnovato dal sindaco Rocco Calamita di Stornara.
La Rutigliano nel 2020, come ricostruisce la testata “foggiacittaaperta.it” invia dopo l’incendio delle ecoballe una informativa a Prefettura, Carabinieri, Arpa, Asl e Sindaco di Stornara, segnalando l'esistenza dell'accampamento, situazione aggravata dalla presenza di molti minori e dal fatto che sull'intera area vi erano cavi elettrici e allacci abusivi. A giugno, sempre del 2020, il Dirigente del Servizio Igiene e Prevenzione Area Sud, Michele De Simone, sollecitato dalla Rutigliano, chiede al Comune di “voler urgentemente bonificare tali aree” e, in particolare, “allontanare ogni tipo di rifiuto che potrebbe essere nuovamente interessato da incendi di probabile natura dolosa”.
Ma non si muove nulla. Come nulla succede dopo i quattro interventi che i vigili supportati dall’Asl e altri organi provano ad effettuare nel campo, sollecitati dalla Procura dei Minori di Bari, giudice Rosario Plotino, il quale chiede di conoscere quanti minori esattamente si trovano al suo interno.
Forse 150, per farne la conta i vigili adoperano uno stratagemma, si presentono con una busta pieni di palloni per permette ai piccoli di giocare ed uscire dalle stamberghe.
Ma il censimento non va in porto.
Poi è arrivata la tragedia. Tra i primi a precipitarsi a Stornara il prefetto Carmine Esposito, napoletano, da un anno a Foggia, il quale dice chi era presente: “si è messo a piangere e si è abbracciato i genitori dei piccoli”. Immediatamente dopo il lancio della prima agenzia, giornalisti e troupe televisive si sono precipitate per documentare l’accaduto, taluni mantenendosi all’esterno del campo, mostrando all’Italia l’indicibile situazione in cui vivono i bulgari, cittadini europei, in terra di Puglia.
Sui social alle manifestazioni di pietas si sono contrapposti pigli di razzismo e accuse: “quello è il loro vivere e la loro cultura vivere in quel modo, tu che fai tanto il buonista parlando così, ti ci porto io davanti a quel campo di cui si sono appropriati Rom, Zingari e Bulgari. Vedi riesci ad entrare? Vedi riesci a passare di lì al buio per andare a Stornara? A piedi e nudo ti fanno ritirare, purtroppo è la loro cultura vivere così, questo non è né il primo e né l'ultimo caso, tu devi vedere quando si prendono a mazzate in quel campo, non sono capaci neanche i carabinieri ad intervenire, non riescono nemmeno ad entrare. Ma che dite, parlate parlate per far la vostra bella figura, ma statv cet”.
Ed ancora: “è il loro modo di vivere e non vogliono migliorare, vivere nei rifiuti”.
Altri commenti: “Bulgare? perché si trovano in Italia, a non fare niente, e non in Bulgaria?”. “Agli Italiani tolgono i figli, ai nomadi lasciano i figli, e li lasciano con genitori molte volte ladri. Bell’insegnamento!"
Quel che resta dei corpicini di Christian e Birka è ora a disposizione dell’autorità giudiziaria, poi ci sarà l’ultimo saluto di due genitori che non troveranno pace, iscritti nel registro degli indagati, un atto dovuto dicono in Procura. Per loro il coro della Questura di Foggia ha eseguito un concerto devolvendo il ricavato. Mentre il presidente della Puglia Michele Emiliano dopo un vertice con il prefetto Esposito ha dichiarato: “Abbiamo preso un impegno sulla memoria di Birka e Christian e nei confronti di tutti i bambini che sono in questi campi e che hanno il diritto ad una vita diversa”.
Sarebbe bastato, con poco, veramente poco, assicurare loro semplicemente la vita. 

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