Chissà
quante volte abbiamo ascoltato e cantato i versi della canzone “Centro di
gravità permanente” di Franco Battiato (scomparso il 18 maggio
2021, a 76 anni) e certamente
con nostalgia continueremo a farlo, pur senza comprenderne appieno il suo messaggio:
simbolico, storico, con rifermenti ai grandi personaggi.
Il Maestro
con le sue immagini solo in apparenza casuali in questa canzone ci restituisce al
suo e al nostro senso di smarrimento, al rifugiarci nei nostri pensieri più
intimi, per poi trovare stabilità ripartendo da se stessi verso la ricerca di
quel “centro” intorno a cui gravita l’esistenza che si incrocia necessariamente
con quella degli altri trovando la propria inspirazione.
Nell’incipit Battiato parte da: “i capitani contrabbandieri
macedoni e la vecchia bretone con un cappello e un ombrello di carta di riso e
canna di bambù” collocandoci col suo sapere
intellettuale in una citazione letteraria del famoso romanzo di R.
Kipling. Nel prosieguo del testo, storicamente a metà del XVI secolo:
“Gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della
dinastia dei Ming”.
Questo
riferimento ci appartiene. Appartiene a Spinazzola ad uno dei suoi figli più
illustri: il gesuita Michele Ruggeri, battezzato con il nome di Pompilio (Spinazzola,
28 ottobre 1543 – Salerno, 11 maggio 1607) il quale con Matteo Ricci (Macerata,
6 ottobre 1552 – Pechino, 11 maggio 1610) furono i primi ad evangelizzare la
terra del Celeste Impero, la Cina, per l’appunto, durante la dinastia dei Ming
(明朝, Míng cháo, chiamata anche 大明帝国 il
grande impero dei Ming) durata dal 1368 al 1644.
I due missionari
Ruggeri e Ricci dell’ordine fondato da Ignazio di Loyola, ispirati nella
loro formazione nel rigore di Euclide -
grande matematico greco vissuto intorno al 300 a.C. ad Alessandria d'Egitto
- nella
iconografia che li rappresenta indossano abiti buddisti (bonzò) scelta
finalizzata per meglio integrarsi nel Paese ospitante ed essere identificati come
religiosi.
Se di Matteo
Ricci se ne conoscono di più le virtù come religioso e studioso (è in corso il
processo di beatificazione), ingiustificata
è quasi la messa in ombra di Michele Ruggeri, figura niente affatto secondaria.
La grandezza
di Ruggeri è tutta nelle sue opere: primo sinologo d’Europa ad aver raggiunto
la Cina,
ad averla in parte attraversata, ad aver imparato a comprendere, parlare,
leggere e scrivere la complessa lingua del mandarino usata da letterati, nobili,
magistrati in tutto l’impero.
Suo
il primo Catechismo (Ttienciu Sce-lu) scritto e stampato in cinese (novembre 1584)
con allegati i dieci Comandamenti. Sempre di Ruggeri la traduzione e diffusione
nella terra del Celeste Impero del Padre Nostro, Ave Maria e Gloria.
I
due partiti da Lisbona il 24 marzo del 1578 con altri dieci missionari per
raggiungere l’India, dopo lo sbarco a
Goa giunsero a Zhaoqing, città da dove poi Ruggeri cercò di giungere a Pechino.
Dal
grande seminario di San Paolo, Ruggeri venne inviato dal provinciale dell’India,
padre Vincenzo Rui, prima a raggiungere un altro confratello nel Malabar,
attuale stato del Tamil- Nada. A sorpresa il 12 aprile 1579 ebbe ordine di
partire per Macao, emporio portoghese, per essere mandato in Cina.
Per evangelizzare
essenziale è la conoscenza della lingua e Ruggeri, con grande capacità, riuscì a
“entrare” nella lingua cinese, creandosi un proprio metodo di comprensione del
tutto originale.
Il
suo metodo venne ripreso secoli dopo dal pedagogista belga Ovidio Decroly per
diffondere l’apprendimento linguistico.
Il missionario
spinazzolese infatti, con l’ausilio di un pittore locale suo amico, per
l’apprendimento associava la figura disegnata (esempio: cavallo) all’ideogramma
cinese corrispondente, aggiungendo la romanizzazione italiana del suono.
Nel
metodo Decroly-globale alla figura è associata la lettera iniziale del nome in
carattere maiuscolo e minuscolo e la scrittura di tutto il nome. Tale metodo è
diffuso in tutte le scuole del mondo ove le lingue sono basate sull’alfabeto.
L’affinità dei due metodi parte dalla stessa intuizione: l’associazione della
figura per l’apprendimento linguistico.
In
questo modo, il nostro Ruggeri, acquisì cognizioni di 15 mila ideogrammi dei 60-80
mila che compongono l’idioma mandarino, sufficienti per confrontarsi con i
nobili ed essere accettato da questi, diffondere il Vangelo e battezzare
diverse famiglie, fondare le prime comunità cristiane in terra cinese.
Michele
Ruggeri fu poeta, scrittore, dottore in diritto canonico, fondatore di una
scuola per l’apprendimento della lingua cinese per stranieri,
la Shengma’erding Jingyuan (la casa di San Martino)
ed autore dell’Atlante della Cina.
Nel
novembre del 1588, mentre Ricci ripercorreva la strada di Ruggeri, venne
inviato a Roma per sollecitare il Papa affinché si provvedesse un’ambasceria
pontificia al fine di ottenere per i missionari il permesso di soggiornare
nell’Impero. Un progetto che per il susseguirsi di Papi non fu possibile perseguire.
Ruggeri,
dopo i dieci anni trascorsi in Cina, si ritirò a Salerno, qui riprese il suo
lavoro intellettuale per rendere più nota in Europa la cultura cinese.
Sua
la traduzione latina dei Quattro libri (classici testi cinesi sull'introduzione
alla filosofia di Confucio), di poesie in cinese e la diffusione delle carte
geografiche la cui raccolta e pubblicazione è stata curata solo nel 1993 da
Eugenio Lo Sardo (Roma, Istituto poligrafico e Zecca
dello
Stato). Il manoscritto originale dell’Atlante della Cina datato 1606 è conservato
nella Biblioteca dell’Archivio di Stato di Roma.
Il riferimento
di Battiato è rivolto a due missionari che ebbero grande ruolo di
evangelizzazione e senza ombra di dubbio a due uomini di scienza.
Peccato
che lo stesso orgoglio che i marchigiani hanno destinato al loro Matteo Ricci
non lo si riscontri nella Puglia e nella città che diede i natali a Michele
Ruggeri. Rincuora di ritrovarne la sua pienezza nella poetica di Franco
Battiato.
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