giovedì 18 febbraio 2010

SONO GIORNI DIFFICILI IN CUI TUTTI SIAMO CHIAMATI AD ESSERE PROTAGONISTI DEL FUTURO DEL NOSTRO TERRITORIO.
CON GLI ULTIMI AVVENIMENTI A SPINAZZOLA TROVERETE ANCHE UN ARTICOLO DI CARLO VULPIO CHE CI AIUTA A RIFLETTERE SUL QUEL CHE VOGLIAMO E POSSIAMO ANCORA ESSERE
POI LASCIATE IL VOSTRO COMMENTO

Venerdì 19 Febbario 2010

Clima intimidatorio per gli impianti fotovoltaici? La città tutta fa quadrato intorno al suo sindaco Carlo Scelzi. Il sindaco ha diramato un comunicato stampa diffuso anche in città nel quale esprime apprensione denunciando pressioni ricevute in questi giorni. Sottolineando: “non tanto di temere per il sottoscritto, ma per la propria famiglia e per quelle di chi sta intorno”. Inoltre ha dato mandato, sulla base delle notizie pubblicate dalla “Gazzetta” che ha riportano stralci delle lettere fatte giungere in redazione dalla società interessata alla realizzazione di un impianto fotovoltaico in contrada “Podice”, nonché per i toni di altre missive ricevute via mail, di portare l’accaduto all’attenzione della magistratura. Assume questo inaspettato epilogo la controversia vicenda legata al progetto presentato dalla Agrienergy Group di Altamura che in Consiglio Comunale si è vista contrapporre perplessità per l’impatto ambientale che l’insediamento industriale avrebbe sul territorio. Cosa che evidentemente non è piaciuta alla società che ha affidato alle lettere il suo aspro e accusatorio disappunto. L’impianto fotovoltaico oggetto delle polemiche è stato previsto in un area anche irrigua su una superficie di oltre 60 ettari per 400 specchi inseguitori, una vela 18x10 metri, altezza 10 metri con base in cemento 7x7x 3 metri. A cui si aggiunge la realizzazione di una sottostazione in cui far confluire la corrente prodotta dall’impianto fotovoltaico per essere immessa nella rete nazionale che andrebbe ad occupare all’incirca altri 7 ettari. Il sindaco raggiunto telefonicamente ieri nella sede della Provincia dove svolge ruolo di consigliere ha ribadito la totale trasparenza dell’operato dell’amministrazione, respingendo ogni illazione presente nelle lettere della società, ed in particolar modo su di un presunto accordo intercorso tra la stessa, lui e il vice sindaco Sebastiano Fiore. Così come diramato nel comunicato stampa: “nel caso specifico, relativamente all’incontro con il Sig. Girolomo Ninivaggi, di certo ci siamo espressi a favore dell’energia alternative, ovviamente riservandoci di verificare e valutare al momento della presentazione il progetto”. Cosa che è stata fatta dal consiglio Comunale che ha espresso il suo diniego che non ha portato alla immediata bocciatura del progetto, ma ad un nuovo passaggio in commissione Comunale allargata ed inoltre all’impegno di sottoporre mediante una conferenza l’eventuale accettazione del progetto, ritenuto invasivo, previo consenso dalla città. Ma c’è dell’altro in questa vicenda. Nella sua lettera la società afferma di avere tutte le autorizzazioni necessarie per avviare l’impianto ritenendo la negazione del Comune di Spinazzola pretestuosa. La legge 99/2009 sancisce che: per la realizzazione di impianti alimentati a biomassa e per impianti fotovoltaici, ferme restando la pubblica utilità e le procedure conseguenti per le opere connesse, il proponente deve dimostrare nel corso del procedimento, comunque prima dell’autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto”. Orbene in data 1 febbraio 2010, dieci giorni prima del Consiglio Comunale che ha trattato l’impianto fotovoltaico in contrada “Podice”, giungeva al protocollo del Comune di Spinazzola una lettera indirizzata al Sindaco Scelzi e al Consiglio Comunale che non ha mai ricevuto questa missiva. Nella quale i signori: Rocco Giannone, Falcitelli Angela, Giuseppe Giannone di Palazzo San Gervasio, proprietari in parte dei terreni dove si vuole allocare l’impianto della Agrienergy rappresentata dal Ninivaggi, facendo riferimento alla legge 99/2009 portavano a conoscenza il loro: “fermo e totale dissenso e contrarietà alla richiesta di cessazione in qualsiasi forma e qualsiasi prezzo, dei propri fondi per la realizzazione di impianti fotovoltaici, come preannunciato dalla Società Agrienergy”. Motivo, quello che aveva creato il principale dissenso all’impianto in Consiglio Comunale: “per il particolare pregio agricolo e, perché sarebbe grave destinarli ad altra destinazione”. Domanda d’obbligo, perché questa lettera e pare ne esistono altre dello stesso tono giunta al Palazzo di Città non sono mai giunte all’attenzione dei consiglieri Comunali. Che fine hanno fatto? La società nella sua missiva annuncia richiesta di risarcimenti milionari mentre di questo ed altro con molta probabilità dovrà occuparsene la magistratura, con una città, vicina al suo sindaco e pronta come in passato a respingere ogni forzatura sul suo territorio.

Giovedì 18 febbraio 2010. Fotovoltaico
«Il sindaco Scelzi aveva già detto sì»

Bufera per l’amministrazione Comunale per l’impianto fotovoltaico da 10 MW (per la società proponente 50milioni di euro di investimenti) e la realizzazione della sottostazione (altri 20milioni di euro) da cui immettere l’energia nella rete nazionale, in contrada “Podice”.
La società che ha proposto gli insediamenti industriali dopo il ritiro dal voto nel consiglio comunale per l’approvazione ha inviato prima una dura lettera aperta al Comune. L’azienda annuncia di rinunciare all’impianto fotovoltaico ma non alla sottostazione e per questo si dice pronta ad intraprendere azioni legali milionarie contro il Comune, ipotizzando una perdita di 150milioni di euro.
Nella missiva a firma di Girolamo Ninivaggi di Altamura rappresentante della società Egrienergy Group srl, si afferma che sia il sindaco Carlo Scelzi e il suo vice Sebastiano Fiore avevano concesso un colloquio preventivo con la società prima che la stessa iniziasse la progettazione degli impianti: «dopo aver esposto dettagliatamente il progetto, aver ricevuto approvazione/disponibilità da parte dell’Am - ministrazione Comunale, rappresentata dal Sindaco e vice Sindaco, il sottoscritto ha dato corso alla progettazione esecutiva e presentazione presso i competenti uffici per chiedere/ottenere le previste autorizzazioni per realizzare e gestire gli impianti previsti, diversamente non si sarebbe nemmeno iniziata la progettazione e quindi sostenuto ingenti costi».
Sindaco e vice capaci attraverso un semplice colloquio di anticipare valutazioni tecniche? Dell’in - contro tra i vertici dell’amministrazione e società però non è emerso nulla durante il consiglio comunale convocato con urgenza solo due giorni prima della discussione sull’insediamento industriale. Questo il tempo messo a disposizione dei consiglieri comunali per valutare la compatibilità sul territorio di un impianto di 400 specchi inseguitori su una estensione di oltre 60 ettari, oltre alla sottostazione che la Agrienergy Group non ritiene invasiva. Anche se la proposta era stata presentata a «settembre/ottobre 2008».
Come da cronaca a porsi di traverso all’approvazione in consiglio Comunale ci si è messo l’as - sessore all’ambiente Giuseppe Tarantini, il quale tra l’altro ha affermato: «stiamo discutendo di un progetto che va al di là di quelli finora trattati. Io credo pienamente alle energie rinnovabili ma non devono esserci invasioni così pesanti sul territorio».
Se è vero quel che afferma Ninivaggi sul consenso preventivo dato da sindaco e vice come mai Tarantini ha assunto tale posizione?
La società afferma inoltre di voler pagare il 2% di royalty al Comune, ma per l’impatto ambientale dell’impianto molte sono state le perplessità dei consiglieri comunali. A firmare il parere tecnico il geometra Vito Patruno, perchè la funzionaria Cinzia Rotondella si è dichiarata incompatibile: la Agrienergy ha affidato a suo fratello arch. Angelo Rotondella e all’ing.Vincenzo Ferri la redazione del progetto.
In Comune gli architetti sono ben due: come mai per l’importanza del progetto questo non è stato relazionato dall’altro architetto del Comune?
Dopo la lettera inviata da Ninivaggi resta da vedere se vi sarà una serena valutazione, non condizionata, da parte del Consiglio Comunale quando il progetto verrà e se verrà riproposto.
La società intanto conclude: «Dopo aver già revocato la nostra disponibilità per realizzare l’im - pianto di produzione fotovoltaica non abbiamo revocato nostra richiesta di approvazione per la realizzazione del cavidotto Minervino/Spinazzola; della costruzione della nostra sottostazione».


Mercoledì 17 Febbraio. Torri eoliche rebus sulla Murgia Tanti dubbi sulla proliferazione degli impianti
Dopo la procura di Trani, pm Giuseppe Maralfa, anche la procura di Bari, pm Renato Nitti, ha posto sotto osservazione le procedure e le opere che hanno portato ad innalzare le torri eoliche e quelle previste in esecuzione tra Minervino Murge, Spinazzola e Poggiorsini. Nella vicenda, la pubblica accusa intravede i reati di falso e violazione delle norme ambientali. Al momento non risultano indagati. La notizia comunque è di quelle che pesano per due ordini di ragione: la disponibilità anche a Spinazzola, dopo Minervino, ad accogliere altre torri eoliche, non da pochi considerate «smembra paesaggio» (diversi i progetti depositati presso l’ufficio tecnico comunale) e la conferma che questo tipo di insediamento industriale, come ipotizzato dai magistrati, potrebbe provocare danni al patrimonio faunistico dell’area murgiana. Ed in particolare alla specie protetta del falco “g rillaio” che sul territorio, così come sancito a livello europeo, eccezionalmente nidifica.
Quello del rischio ambientale e faunistico dovuto ai pali eolici non è cosa nuova: andando a ritroso, si può considerare che già nel 2007 altre violazioni sono state contestate. Come quelle legate all’opera - zione denominata «Ventus» condotta dal Comando Stazione Forestale dello Stato di Gravina di Puglia, competente nell’am - bito del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Quella indagine ha portato al sequestro di opere di escavazione dove dovevano essere installare le torri eoliche realizzate nell’area del Parco dell’Alta Murgia, contestazione per la difformità nella realizzazione dei cavidotti e contestazione per la costruzione di una sottostazione in area Parco, territorio di
Spinazzola, da dove far affluire la corrente prodotta dagli impianti eolici alla rete nazionale. Cinque i rinviati a giudizio, processo in corso presso la sede distaccata del tribunale di Trani, sezione staccata di Canosa di Puglia. Già nelle loro relazioni gli uomini del Comando Forestale di Gravina portavano all’attenzione del magistrato che erano rav visabili violazioni delle zone protette Sic-Zps (Sito di interesse comunitario, Zona di protezione speciale), aree naturalistiche tutelate, indipendentemente da quelle ricadenti nel vincolo del territorio del Parco Nazionale dell’Alta Murgia.
Ma quante sono le torri sinora installate che troverebbero contestazione anche da parte della procura di Bari? A Minervino se ne contano cinquantasei, quattro le aziende interessate. Quel che è certo comunque, è che ancor prima che queste torri venissero innalzate, perplessità erano già presenti. Tanto che erano stati acquisiti gli atti dell’autorizzazione unica espressa dalla Regione Puglia.
Sui pali eolici sulla Murgia pende anche una interrogazione dell’on. Pierfelice Zazzera dell’Italia dei Valori alla quale il Governo non ha ancora dato risposta. Il parlamentare chiede al ministro dell’Ambiente e dell’Interno di conoscere, dopo alcuni arresti avvenuti a Mazara del Vallo (Trapani) riconducibili a persone sodali con il superlatitante Messina Denaro, quale controllo è in atto per scongiurare il rischio di infiltrazione mafiosa o di malavitosi nell’ambito delle energie rinnovabili, perché a suo avviso alcuni degli arrestati in Sicilia operano sul territorio murgiano.
Ancora. Alcuni mesi fa gli uomini della Guardia di Finanza, tra luglio-agosto, hanno acquisito in Regione tutti i fascicoli dei progetti legati agli impianti eolici e fotovoltaici proprio del territorio Minervino, Spinazzola, Poggiorsini. Tutto questo potrebbe, così come dalle stesse informative del Comando Forestale di Gravina aver creato l’interesse della Procura di Bari?
Intanto il presidente del Parco dell’Alta Murgia, Girolamo Pugliese, dopo l’apertura delle indagini del pm Nittti, sottolinea «Neanche una sola torre eolica è stata impiantata nel territorio del Parco Nazionale dell’Alta Mugia. Quattro anni fa fui costretto addirittura ad effettuare personalmente un sopralluogo nel territorio di Minervino Murge per impedire l’installazione di quattro torri che la Regione sosteneva fossero state autorizzate dal Parco. Dopo quel tentativo di coinvolgere l’Ente in un’euforica ed interessata politica di insediamenti di fonti di energia alternativa, abbiamo segnalato a tutte le Amministrazioni competenti in materia di impianti energetici e di valutazioni ambientali, in particolar modo alla Regione Puglia, che la realizzazione degli impianti eolici per la produzione industriale di energia fuori dal Parco ma nella Zona di Protezione Speciale Murgia Alta non era stata preceduta da un’ade - guata valutazione della loro incidenza sugli habitat naturali. Siamo stati inascoltati, se non liquidati con supponenza ed arroganza».

16 Febbraio 2010
SVILUPPO E GESTIONE DEL TERRITORIO SEMPRE IN PRIMO PIANO Dopo l’eolico il fotovoltaico polemiche su megaimpianto

Il ritiro dall’approvazione nell’ul - timo consiglio Comunale, per disaccordo nella stessa maggioranza di centrosinistra guidata dal sindaco Carlo Scelzi, di un mega impianto fotovolitaico da 10MW da ubicare in contrada “Podice”, 400 specchi inseguitori su un terreno in parte irriguo di oltre 60 ettari, altro non è che l’ennesima conferma delle tante perplessità che ruotano in torno al grande busines che si è scatenato, anche sul versante murgiano, a Spinazzola nel suo particolare, per gli insediamenti industriali legati all’energie prodotte da fonti rinnovabili. Eolico, fotovoltaico e impianti alimentati da biomasse. A rendere disponi bile il territorio ci si è messa la crisi del sistema agricolo. A Spinazzola, come affermato dallo stesso vice sindaco Sebastiano Fiore, con delega al settore, sono oltre duecento i progetti di impianti fotovoltaici presentati che si aggiungono alla richiesta di centinaia di torri eoliche. Una selva di pali distruttiva del paesaggio racchiusi in faldoni che hanno subissato per il loro iter di approvazione lo stesso ufficio tecnico comunale. Cosa sta succedendo su questo tratto di paese e cosa richiama tanta invasione, interesse degli industriali delle energie rin novabili? L’investimento per ogni impianto realizzato è di milioni di euro. Al proprietario del terreno vanno le briciole per la servitù concessa, in alcuni casi una mangiata di royalty per il Comune e sotto la ricaduta occupazionale poco o nulla. Eppure c’è chi si ostina a sostenere che questo è il progresso ed il futuro: «un’occasione da non perdere». Tra le voci «contro» anche quella del direttore regionale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali in Puglia, arch. Rug giero Mar tines, il quale oltre a definire incompatibili gli impianti fotovoltaici nelle aree a coltivo tipiche della Regione ha sottolineato: «una nuova disarmonia, fatta da interventi a macchia di leopardo stanno “se gnando” il territorio, si sta contrapponendo alla origina ria armonia del paesaggio pugliese. Lo stesso paesaggio che contraddistingue la Puglia, per il suo essere ancora incontaminato, rispetto anche alle regioni limitrofe. Un paesaggio, quello pugliese che assieme alle forti valenze storico-architettoniche ed archeologiche, costituisce una indiscussa attrattiva. Giova in ogni caso ribadire che gli interventi di impianti eolici e fotovoltaici in Puglia, se da un lato producono energie rinnovabili, stanno producendo un grave detrimento ad un bene che rinnovabile non è: il paesaggio».

Domenica 14 febbrario.
La maggioranza prima ha tentato di arrampicarsi sugli specchi, poi sugli specchi è scivolata. I tre punti salienti dell’ordine del giorno dell’ultima seduta consiliare sono stati tutti ritirati. Il primo riguardava la convenzione con cui si intendeva manteneva in ruolo ancora a Spinazzola il segretario comunale Giulio Rutigliano, dal primo febbraio in servizio a Minervino. La maggioranza dopo l’incal - zare dell’opposizione e le contrarietà interne ha chiesto il ritiro del punto.
Ritirato dal voto anche l’installazione del mega impianto fotovoltaico da 10MW previsto in contrada “Podice”, nonché le opere connesse a la costruzione della sottostazione dove far confluire la corrente prodotta nella rete nazionale. Dopo il dettaglio del progetto da parte del vice sindaco Sebastiano Fiore, a gelare le aspettative di chi era favorevole all’impianto ci ha pensato l’assessore “verde”Giuseppe Tarantini: «stiamo discutendo di un progetto che va al di là di quelli finora trattati. Io credo pienamente alle energie rinnovabili ma non devono esserci invasioni così pesanti sul territorio».
Lo stesso progetto posto all’attenzione del consiglio comunale è una fotocopia di quello presentato anche a Minervino Murge che prevede: l’installazione di 400 inseguitori, specchi collocati su una piattaforma della grandezza di 18 metri per 10 posti su un pilastro alto 10-12 metri, che ha una base in cemento armato di 7 metri per 7, profonda 3 metri. La superficie interessata dal mega impianto è pari a 61 ettari, oltre ad altri 6 ettari per la sottostazione e 1,6 ettari per gli allacci: una enormità.
Quel che è ancora emerso nella discussione e che a Spinazzola, solo per il fotovoltaico sono giunti 200 progetti. «Per l’accettazione del mega impianto, ha sostenuto ancora Tarantini, non può essere esclusa la volontà della popolazione». A fargli eco il neo consigliere della maggioranza Domenico Lombardi che ha evidenziato che i terreni su cui si vuole installare questo impianto hanno peculiarità rilevanti, in quanto irrigui. Benedetto Silvestri Vigilante del Pdl ha affermato: «Sento puzza di bruciato, argomenti analoghi sono stati approvati in passato in assenza della minoranza». Franca Carbone dell’I d V, ha letto una missiva del direttore regionale Ruggiero Martines del Ministero per i beni e le attività culturali, con la quale richiama al proliferare di impianti eolici e fotovoltaici in Puglia. Nella lettera si legge: «giova in ogni caso ribadire che gli interventi indicati in oggetto, se da un lato producono energia rinnovabili, stanno producendo un grave detrimento ad un bene che rinnovabile non è: il paesaggio». Nonostante il tentativo di svilire gli interventi da parte del vicesindaco, adducendo ragioni tecniche, la maggioranza su questi specchi è scivolata nella più manifesta contraddizione. Conclusione: punti all’or - dine del giorno rinviati a data da destinarsi.

Quel maledetto doppiopesismo di politici e magistrati che fa dell’Italia un Paese marcio “dentro”. L’inchiesta giudiziaria sulle toghe Tommasino e Petrucci, la candidatura del pm Nicastro e il silenzio mafioso sulla vicenda del gip Forleo
Pubblicato il 18 febbraio 2010 da Carlo Vulpio

Lo scandalo della “cricca” della Protezione civile rivela un Paese marcio “dentro”. A destra, a centro e a sinistra. Sopra e sotto. Di fronte e di profilo.
Al di là dell’accertamento dei reati e di chi li ha commessi (poiché la prima impressione è che dal grano – come cereale e come quattrini – ci sarà da separare un bel po’ di paglia), sono i dettagli non costuituenti reato a fare la differenza in questa storia. E a dirci chi siamo, cosa siamo diventati.

Non parlo di prostitute e di massaggi veri o finti, che fin quando non sono l’oggetto del reato o la merce di scambio per commetterlo, restano comportamenti privati classificabili alle voci “puttanizia e puttanicizia”, buoni soltanto per i sermoni dei moralisti d’accatto.
Parlo, per esempio, di quel “dettaglio” dei dialoghi tra imprenditori, alti funzionari pubblici e docenti universitari, ai quali si promette un lauto incarico o una pingue consulenza poiché raccomanderanno i figlioli degli amici degli amici e li faranno entrare all’università senza le “prove d’ingresso”.
Capite che cosa significa? Marci loro e marci anche i loro figli. Come gran parte del Paese, ormai.

Tutto questo avviene, per pura coincidenza, nel giorno del diciottesimo compleanno di “Mani pulite”. Si dovrebbe diventare maggiorenni a questa età. E infatti appalti e commesse e tutto quanto vengono spartiti come e meglio di prima, tutti insieme nel grande PUP, il Partito Unico del Potere, mentre il popolo bue fa il tifo sugli spalti per una partita truccata.

La ricorrenza di Tangentopoli ’92 ha dato occasione a uno dei protagonisti di allora, il magistrato Gerardo D‘Ambrosio, attualmente senatore del Pd, di affermare che la differenza tra la Tangentopoli di ieri e quella di oggi è “l’indignazione popolare”. Nel 1992 l’indignazione c’era, dice D’Ambrosio, oggi no.
Può darsi che D’Ambrosio abbia ragione. Anzi, ammettiamo pure che abbia ragione. Ma se è così, non sarebbe il caso di chiedersi perché questa indignazione non c’è più? E non sarebbe il caso, per tentare di dare una risposta, di cominciare a essere rigorosi giudici di se stessi e dei propri amici e alleati, invece di puntare il dito sempre contro “gli altri” o di cavarsela con affermazioni di principio generiche e inutili, e quindi dannose?

Se all’indignazione di ieri si è sostituita la delusione di oggi, e anzi l’assuefazione, non sarà, per caso, anche per quel doppiopesismo maledetto che affetta la magistratura, che nella Nuova Tangentopoli di questi ultimi anni si è disvelata come una delle protagoniste negative, al pari della politica e dell’economia?
Scusate l’autocitazione, ma come ho scritto in “Roba Nostra” (Il Saggiatore) due anni fa – in un momento non sospetto, quindi –, una buona parte della magistratura (facciamo la metà?) è sempre meno un potere dello Stato che bilancia gli altri due ed è sempre meno un apparato imparziale di controllo della legalità, ma svolge sempre di più un ruolo di apparato di copertura di mille nefandezze, predilige la doppia corsia della legge applicata ai nemici e interpretata per gli amici e cerca di accucciarsi sotto le ali del potere (qualunque potere) invece di tenerlo a bada per realizzare l’uguaglianza di tutti davanti alla legge.

Siccome però abbiamo detto che l’affermazione di principio non basta, facciamo qualche esempio concreto. Affinché, guardandolo bene in faccia, possiamo riconoscere quel doppiopesismo maledetto che alla fine ci ucciderà tutti, se non lo spazzeremo via in tempo.

Per esempio, Gerardo D’Ambrosio, poteva o no evitare quella coincidenza (solo una coincidenza, per carità) che sul finire dell’estate del 2007 lo portò, lui già senatore Pd, e quindi compagno di partito di D’Alema e Latorre, a farsi una passeggiata al Palazzo di Giustizia di Milano per andare a trovare i suoi ex colleghi che, coincidenza, indagavano proprio su quelle scalate?
D’Ambrosio aveva anche criticato il gip Clementina Forleo per la sua scelta (poi giudicata giusta e legittima) di far trascrivere e depositare quelle intercettazioni telefoniche che tanto preoccupavano l’attuale presidente del Copasir (il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti) D’Alema e il suo scudiero Latorre.
Era proprio necessario che una persona esperta e nota come lui andasse a trovare i pm che in quel momento indagavano su quella vicenda e ci andasse anche a pranzo (ci andò con Fusco, Perrotti, Greco, Orsi e Pedìo), mentre la Forleo veniva mazzolata dal presidente della Repubblica per la sua famosa ordinanza in cui definiva i sei protagonisti (D’Alema, Latorre e Consorte per la sinistra; Cicu, Grillo e Comincioli per la destra) “complici e non semplici tifosi” di quelle scalate illegali?

Forleo poi è stata “depotenziata” e trasferita a Cremona, le è stata tolta la scorta, recentemente è finita anche fuori strada a causa di un incidente molto sospetto causato forse da un sabotaggio alla sua auto parcheggiata nel cortile del tribunale di Cremona, ed è ancora “sub iudice” per motivi “disciplinari”.
Un processo alle streghe in cui si racconta – secondo quanto è agli atti -, che il pm Orsi, fino a quel momento entusiasta per il lavoro svolto, sarebbe rimasto molto male per la decisione presa dopo una riunione in Procura di non iscrivere D’Alema sul registro degli indagati (come invece si poteva fare, e senza alcun bisogno di autorizzazioni a procedere: cfr.Il palazzo di vetro)
Ma chi ne parla? Chi la racconta completa, questa storia? Nessuno. Perché?

La sentite voi una voce, una sola, che si levi su questi argomenti? Magari da quelli del NoBday, da Beppe Grillo, dall’Idv, da Di Pietro, da de Magistris&Alfano, da Gioacchino Genchi, autore di un libro “bomba” in cui, guarda caso, per pura coincidenza intendiamoci, queste cosine sono sparite? Perché?
La sentite voi, una voce, una sola, che si levi da destra o da manca? Dal Pd, dalla Lega Nord, dal Pdl, o dall’Udc e dalla neonata Sel? Provate, ancora una volta, a chiedervi perché.

Ora si parla di questo Giuseppe Tesauro, giudice della Corte Costituzionale, che era in società con personaggi convolti nell’inchiesta sulla Protezione civile. E va bene. Per quanto mi riguarda, un giudice che sia in società anche con un salumiere è da cacciare senza perdere un minuto di tempo.


Ma vogliamo parlare anche delle toghe sporche di quel Triangolo delle Bermuda (Salerno-Potenza-Catanzaro) di cui non parla più nemmeno chi dovrebbe farlo per dovere verso se stesso e verso tutti coloro che per questo stanno ingiustamente pagando un prezzo altissimo, e che su questo e grazie a questo ha costruito la sua resistibile ascesa politica?
Vogliamo per esempio capire come mai nessun giornale, dico nessuno, e nemmeno una tv, dedichi un po’ di spazio a un processo in corso a Potenza (e ad altri simili in altre parti d’Italia) davanti al gup Luigi Barrella, in cui qualche giorno fa si doveva decidere (l’udienza è stata rinviata a maggio causa neve) del rinvio a giudizio per reati gravissimi (corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio, peculato) dell’ex capo dei gip di Taranto, Giuseppe Tommasino e dell’ex capo della procura di Taranto, Aldo Petrucci?
Tommasino è uno che ha fatto anche il commissario nei concorsi per notaio, mentre Petrucci è attualmente capo della Procura minorile di Lecce.
Tommasino e Petrucci, secondo l’accusa dei pm Cristina Correale e Ferdinando Esposito, facevano gioco di squadra per avvisare gli indagati, svolgere indagini in maniera eccessivamente generica affinché venissero archiviate, scambiarsi favori giudiziari illegali.
Vi rendete conto di cosa stiamo parlando?
E tuttavia, il doppiopesismo maledetto prevale sempre. Nella denuncia come nella indignazione. Si denuncia e ci si indigna a giorni alterni e secondo convenienza. E alla fine lo capisce persino questo Paese marcio che l’indignazione invocata da D’Ambrosio non c’è perché non ci può essere, perché da tempo è stata sostituita con l’assuefazione, che in qualche modo è diventata una forma di cura omeopatica per sopravvivere e tirare avanti.

Ma facciamo un altro esempio. Guido Bertolaso si deve dimettere? Va bene. Ma anche no. Se vogliamo essere onesti fino in fondo, o almeno equanimi. Perché se il “criterio giudiziario” dell’avviso di garanzia vale per lui deve valere per tutti: per esempio, deve valere anche per gli indagati candidati alla presidenza delle regioni Campania (De Luca), Calabria (Loiero) e Puglia (Vendola). Ah, già, ma questi sono di centrosinistra…
Per quanto mi riguarda, questo “criterio giudiziario” non dovrebbe valere per nessuno. Aspetterei almeno una sentenza di condanna di primo grado e distinguerei tra i reati. Ma se si invoca il suddetto criterio per qualcuno sì e per qualcun altro no, allora non ci siamo, vuol dire che qualcuno sta imbrogliando. Siamo di nuovo al doppiopesismo maledetto che prima o poi ci ucciderà tutti.

Da ultimo, ma non ultimo, la candidatura alle regionali di Puglia (in questi ultimi tempi il Tacco d’Italia è il centro del mondo…), con l’IdV, del pm Lorenzo Nicastro.
Ma dico: come si fa? Nicastro è una brava persona, ma come può pensare che la sua scelta, oltre alle polemiche, non susciti sospetti pesanti?

Non solo perché Nicastro ha indagato per anni sull’ex “governatore” e attuale ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto (rinviato a giudizio per abuso d’ufficio, corruzione, finanziamento illecito ai partiti, peculato).
Non solo perché Nicastro si candida nello stesso luogo in cui fino a ieri ha svolto la funzione di pm (su questo argomento, torneremo prossimamente).
Ma soprattutto perché Nicastro stava indagando su uno dei filoni più delicati dell’inchiesta sulla Sanità, quello relativo agli accreditamenti delle strutture private. Un filone che – per ammissione dello stesso coordinatore regionale di IdV, il deputato Pierfelice Zazzera (Il regalo di Nichi a Massimo) – vede coinvolta mani e piedi la giunta regionale uscente, la compagine cioè oggetto di indagine di Nicastro e di cui da questo momento Nicastro è alleato.
Ma non è finita. L’indagine di Nicastro è passata nelle mani di Emilio Marzano – l’ex capo della Procura di Bari che ha legato il suo nome alla tragedia dei fratellini di Gravina di Puglia, Francesco e Salvatore Pappalardi -, che ora è un semplice pm, in procinto di andare in pensione (il 5 aprile, subito dopo le elezioni… ma è una coincidenza).

Resta una domanda. Ma Nicastro adesso si dimetterà dalla magistratura? No, perché io me la ricordo bene la risposta di Di Pietro ai giornalisti, il 18 marzo 2009, nella sala stampa della Camera dei Deputati (ero lì, accanto a lui e agli altri candidati “indipendenti”).
“I magistrati che si candidano – disse Antonio Di Pietro – si devono dimettere. Per noi vale questo principio. E noi applichiamo la legge morale per primi a noi stessi”. Bravo. Ma ora a Nicastro chi glielo dice?

giovedì 11 febbraio 2010


Da Panorama

Operazione D Come si è tentato di incastrare Berlusconi attraverso Patrizia D’Addario
GIACOMO AMADORI
Un’inchiesta riservata della procura di Bari, con almeno una dozzina d’indagati, riscrive la storia della escort e delle sue visite a Palazzo Grazioli. E disegna uno scenario sorprendente, in cui si sono mossi anche personaggi eccellenti con ruoli diversi. I loro obiettivi? Fare soldi e screditare il premier.
C’è un’altra storia da raccontare su Patrizia D’Addario e sull’affaire che ha coinvolto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Una storia che sta scrivendo, in gran segreto, la procura della Repubblica di Bari.
È bastato poco al suo capo, Antonio Laudati, giunto alla guida degli inquirenti del capoluogo pugliese nel settembre scorso, per capire che la vicenda della escort approdata nell’autunno 2008, con registratore annesso, a Palazzo Grazioli, residenza del premier, meritava di essere approfondita. Laudati, affilato e distinto, è un magistrato che ha maturato una grande esperienza sul fronte delle indagini antimafia e che si è formato con personaggi del calibro del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Una palestra dove ha appreso quel metodo investigativo puntiglioso che, per giungere alle conclusioni, si basa sui fatti e sull’analisi di tutti i particolari che gravitano intorno a essi. E questa tecnica antimafia, che porta sotto la lente d’ingrandimento dettagli apparentemente insignificanti, ha dato i suoi frutti.
Da quanto Panorama è in grado di ricostruire, da qui a poco ci sarà un terremoto giudiziario destinato a minare nelle fondamenta il castello costruito intorno alle presunte rivelazioni di D’Addario e del suo mentore, l’imprenditore Gianpaolo Tarantini. Al fascicolo, seguito direttamente da Laudati, lavorano anche i sostituti procuratori Giuseppe Dentamaro e Teresa Iodice. Si tratta di un fascicolo che tecnicamente va sotto la sigla di modello 21: vi sono cioè degli indagati e sono almeno una dozzina. Tra le persone finite sotto quella lente d’ingrandimento c’è sicuramente Patrizia D’Addari,o. Di più: la escort è il personaggio chiave.
Impossibile conoscere i dettagli dell’inchiesta, ma dalle strettissime maglie della rete di silenzio che per mesi l’ha ingabbiata alcune informazioni trapelano. I magistrati si sono concentrati sulla genesi del rapporto tra D’Addario e Tarantini. Hanno accertato che a presentarla all’imprenditore barese fu l’ex socio Massimiliano Verdoscia, arrestato in agosto per spaccio, che a sua volta conobbe la escort proprio per la sua attività di prostituta.
La conclusione sorprendente cui sono arrivati gli inquirenti è che D’Addario, prostituta ben nota alle forze dell’ordine (per le continue risse e per le schermaglie legali con il suo protettore), esperta di registrazioni e di videoriprese, sarebbe stata selezionata e successivamente «consegnata» a Tarantini. Proprio così: «selezionata» affinché portasse a termine una missione, quella di compromettere la reputazione del presidente del Consiglio, mettendolo politicamente in difficoltà.
Già, ma chi l’ha selezionata? Questo è lo snodo centrale dell’inchiesta in cui compaiono a vario titolo magistrati, politici, giornalisti e professionisti della Bari che conta. A breve, nei confronti di alcuni giudici che avrebbero partecipato a quello che appare come un vero e proprio complotto ai danni del premier dovrebbe scattare un procedimento parallelo che, secondo quanto stabilito dall’articolo 11 del Codice di procedura penale, sarà affidato alla procura di Lecce, competente a indagare sulle toghe del capoluogo pugliese.
Non solo, è facile prevedere che, non appena la bomba esploderà, anche la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura dovrà occuparsi di alcuni aspetti definiti da un investigatore «molto imbarazzanti».
Fra gli attori del «complotto» su cui si stanno concentrando gli inquirenti guidati dal procuratore Laudati un ruolo non secondario lo avrebbero recitato alcuni giornalisti, ai quali sarebbero state passate notizie allo scopo di alimentare il clima a sostegno della tesi di D’Addario. Alcuni articoli sarebbero stati persino utilizzati per indirizzare le indagini. Ora la procura sta cercando i suggeritori di quelle cronache. Secondo quanto risulta a Panorama, il filone relativo alla fuga di notizie è prossimo alla conclusione e sarebbero già pronte le richieste di misure cautelari per diversi personaggi, compresi alcuni appartenenti alle forze dell’ordine.
Certo, non è facile districarsi nel labirinto del malaffare di Puglia. Perché i vari fascicoli d’indagine sono come vasi comunicanti che alcune volte si scambiano i fluidi contenuti. In una sorta di entropia velenosa. E così l’inchiesta D’Addario-fughe di notizie si mescola con quella sulle tangenti nella sanità: un procedimento in cui, dopo gli arresti di metà gennaio, fra gli altri, dell’avvocato Lea Cosentino, ex direttore generale dell’azienda sanitaria di Bari, e di Antonio Colella, in passato dirigente dell’area patrimonio della asl, e il coinvolgimento dell’ex vicepresidente regionale del Pd Sandro Frisullo, sono attesi tempestivi sviluppi. Infatti sono al vaglio del giudice per le indagini preliminari ulteriori provvedimenti restrittivi nei confronti di politici e imprenditori regionali.
Ma torniamo al «complotto». Su Patrizia D’Addario sono state avviate da mesi analisi patrimoniali che hanno riservato non poche sorprese. La escort, infatti, secondo le verifiche degli investigatori, sarebbe risultata intestataria di numerosi conti correnti, direttamente o attraverso prestanome. Nel corso di questi accertamenti sarebbero emersi quelli che vengono definiti «elementi interessanti» nei confronti di alcuni familiari di D’Addario.
Ad attirare l’attenzione degli inquirenti, in particolare, sono stati alcuni movimenti di denaro di entità rilevante, registrati prima e dopo che lo scandalo alimentato dalla escort è finito sui giornali. In procura indagano anche su un’ingente somma in contanti, si parla di 1,5 milioni di euro, che dall’Italia nel febbraio 2008 (otto mesi prima della visita a Palazzo Grazioli) sarebbe stata trasferita a Doha, capitale del Qatar. A trasportare fisicamente questa montagna di soldi sarebbe stata la stessa D’Addario, durante un viaggio di cui i magistrati hanno trovato i riscontri. A che cosa servivano quei denari?
Gli investigatori stanno valutando più ipotesi: dalla creazione di una provvista in nero fino al pagamento di alcune mazzette trasferite all’estero per conto di imprenditori o di politici. La documentazione bancaria necessaria a definire i contorni di questa vicenda non è ancora stata acquisita completamente, ma, per avere un quadro più chiaro, non occorrerà attendere molto.
«Siamo all’inizio dell’opera» si schermisce un investigatore. Eppure, bastano queste indiscrezioni a offrire una chiave di lettura ben diversa da quella che finora è stata proposta all’opinone pubblica del cosiddetto affaire D’Addario. Chi indaga è convinto che Tarantini non sia la mente, ma soltanto un terminale di questo progetto: un uomo interessato e disposto a tutto pur di mettere le mani su alcuni affari. In particolare quelli che ruotavano intorno alla Protezione civile e alle commesse affidate senza gare d’appalto, per esempio, che inutilmente cercò di conquistare dopo essere riuscito a entrare in contatto con il presidente Berlusconi.
Per ingraziarsi il premier, Tarantini avrebbe investito oltre 5 milioni di euro. Soldi spesi per cucirsi addosso l’immagine di un giovane imprenditore facoltoso e credibile. Capace di sperperare mezzo milione di euro in un mese per organizzare party e affittare una villa in Sardegna, nei pressi della residenza estiva del Cavaliere, per ottenere così di essergli presentato.
Gli inquirenti hanno ricostruito quello che, senza alcun intento offensivo, hanno definito il «metodo pugliese». Si tratta di un simulacro della realtà, un mondo fatuo in cui le apparenze diventano sostanza, tra feste da mille e una notte, belle donne disponibili e (all’occorrenza) cocaina.
La corruzione si realizzerebbe attraverso l’erogazione di questi particolarissimi «fringe benefit»: i politici, gli amministratori non ricevono un compenso in denaro o beni, ma usufruiscono di favori soprattutto di origine sessuale. Come avrebbe dimostrato proprio il filone della sanità pugliese. Metodo che qualcuno ha cercato di replicare a livello nazionale, puntando al «bersaglio grosso»: il presidente del Consiglio, Berlusconi.
D’Addario sarebbe stata quindi un’arma non convenzionale, gestita in prima battuta da Tarantini, ma in realtà manovrata da ben più potenti politici. L’ipotesi del complotto, secondo i magistrati, sarebbe confermata dalle spese sopportate da Tarantini per conoscere Berlusconi a fronte di vantaggi praticamente nulli.
E qui ci si addentra nella parte più delicata dell’indagine. Chi sono, allora, i burattinai dell’affaire D’Addario? È logico pensare, seguendo il ragionamento della procura, che questi vadano ricercati nel campo avverso al Popolo della libertà.
Gli inquirenti si sono già fatti un’idea, sorretta da alcuni riscontri e intercettazioni. Impossibile, però, saperne di più. Quel che è certo è che per sbrogliare questa matassa un’attenzione particolare è stata dedicata ai viaggi compiuti da Patrizia D’Addario dall’inizio dello scandalo e in particolare le sue trasferte in Francia, Spagna, Brasile, Gran Bretagna, Cina ed Emirati Arabi. Trasferte che sarebbero state gestite da alcuni intermediari internazionali, diretti a loro volta da politici italiani rimasti per ora nell’ombra.
L’obiettivo della tournée estera di D’Addario altro non sarebbe se non fare da grancassa allo scandalo sessuale e ridicolizzare oltreconfine Berlusconi. Insomma, sarebbe l’ultimo tassello di un piano architettato sin dall’inizio per screditare l’immagine del premier.
Per questo il fascicolo processuale, ancora in divenire, ipotizza oggi l’associazione per delinquere finalizzata alla falsa produzione di documenti a uso processuale. Ma in futuro potrebbe anche approdare all’estrema gravità dell’articolo 289 del Codice penale: l’attentato contro gli organi costituzionali dello Stato.
Pur muovendosi con estrema prudenza, la procura di Bari ipotizza infatti una vera e propria associazione per delinquere che avrebbe organizzato un complotto istituzionale, immettendo nel circuito dell’informazione notizie manipolate per ottenere un risultato politico. Con una banda di cospiratori che avrebbe fabbricato falsi documenti con l’obiettivo d’inquinare l’inchiesta, usando come cinghia di trasmissione alcuni giornali. E il ruolo cruciale della stampa in questa vicenda è sottolineato dal retroscena della prima intervista di D’Addario: la donna sarebbe stata anche convinta a rinunciare all’accordo con il settimanale Oggi per essere indirizzata verso il Corriere della sera. La sua prima intervista esclusiva vi comparve il 17 giugno 2009.
Sono quattro, in conclusione, i fronti giudiziari (tutti comunicanti) aperti a Bari: riguardano le presunte tangenti nel sistema sanitario regionale, le attività illecite di Gianpaolo Tarantini, la costruzione e la gestione dell’affaire D’Addario e le fughe di notizie legate alle deposizioni della escort e di altri protagonisti. Un tema, quest’ultimo, particolarmente curato da Laudati, che, coincidenza per nulla strana, il giorno del suo insediamento venne salutato dalla pubblicazione dei verbali riservati di Tarantini: accadeva il 9 settembre del 2009. Da allora diverse cose sono cambiate nella procura del capoluogo pugliese. E in molti, presto, se ne accorgeranno.


Complotto in 3 mosse
GIACOMO AMADORI
La procura di Bari ha individuato, anche con video e registrazioni, chi ha messo in circolazione e manipolato i verbali secretati della D’Addario. Poi sta scandagliando i conti della escort sui quali è stato trovato quasi 1 milione di euro. Alla fine, soltanto alla fine, punterà al terzo livello che ha avuto un ruolo nella gestione della donna e della successiva trappola politica.
È sabato 30 gennaio ed è appena terminata la cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario. Al quarto piano della procura di Bari il capo dell’ufficio, Antonio Laudati, si ritrova a faccia a faccia con alcuni dei suoi sostituti. Sul tavolo l’ultima copertina di Panorama intitolata «Il complotto». Ventiquattr’ore prima la stessa procura, dopo avere esaminato il testo con puntiglio da esegeti, si era limitata a escludere, in una nota ufficiale, che fosse iscritta una notizia di reato che riguarda «accordi fraudolenti miranti a una calunniosa rappresentazione processuale». Dietro il criptico linguaggio giuridico si celava ciò che i magistrati non potevano smentire: l’esistenza di un’inchiesta che, come vedremo tra poco, ruota intorno a Patrizia D’Addario, la escort di Palazzo Grazioli, e si muove su tre livelli, legati fra loro da diversi filoni, ipotizzando, al termine di questo percorso, un «complotto» contro il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Infatti le varie inchieste portano a una conclusione univoca: l’affaire D’Addario ha una genesi tutt’altro che lineare e nasconde, secondo gli inquirenti, una precisa regia. Da tempo i magistrati fanno ipotesi su chi possa averla gestita, ma per non vanificare il lavoro sin qui svolto, e correre il pericolo di essere accusati di costruire teoremi fantasiosi, hanno scelto di inabissarsi come un sommergibile. Sino alle prossime, imminenti misure cautelari.
Certamente a Bari la D’Addario è indagata per associazione per delinquere. Non è la sola, con lei sono finite sotto inchiesta una dozzina di persone. Il reato associativo è una cornice che serve al procuratore Laudati e ai sostituti che lo affiancano, Giuseppe Dentamaro e Teresa Iodice, per poter investigare ad ampio raggio.
Il nome della D’Addario, prima dello scandalo politico, era noto in tribunale per la ventina di procedimenti pendenti in cui è coinvolta sia come parte offesa sia, e sono la maggior parte, come indagata o imputata (vedere riquadro a pagina 45). Nella primavera 2009 hanno iniziato a interessarsi a lei anche Pino Scelsi ed Eugenia Pontassuglia, pm della Direzione distrettuale antimafia, nell’ambito di un’indagine di criminalità organizzata avviata per capire se esistesse un collegamento tra la malavita e il reclutamento delle prostitute, come lasciava supporre un attentato subito da un’amica di Patrizia D’Addario legata a un membro del clan Parisi (uno dei gruppi più temuti della criminalità barese).
Nella prima metà di giugno la escort si reca in procura per raccontare la sua notte a Palazzo Grazioli. Qualche settimana dopo incappa nell’indagine sulla fuga di notizie e sulla genuinità delle registrazioni audio effettuate nella dimora del premier. Infatti gli inquirenti si accorgono che il contenuto delle trascrizioni dei nastri consegnati nelle redazioni non corrisponde a quello delle bobine in possesso della procura, segno questo di una possibile strumentalizzazione delle informazioni. Ma fermiamoci un attimo.
Questo è il primo livello dell’inchiesta è ha come tappa finale l’individuazione dei pubblici ufficiali che sono all’origine delle falle nel segreto istruttorio. Non soltanto per le registrazioni della D’Addario, ma anche per la pubblicazione dei verbali secretati di Gianpaolo Tarantini. Su questo versante, secondo quanto risulta a Panorama, l’accusa avrebbe raccolto riscontri inconfutabili.
Tra giugno e settembre 2009 (dal periodo delle prime fughe di notizie su Patrizia D’Addario a quelle su Tarantini) sarebbero stati compiuti diversi passi falsi da parte di giornalisti e investigatori. Inciampi per cui nessuno dei detective, per ora, è stato trasferito, nonostante siano stati immortalati da foto e videotape che proverebbero bugie e responsabilità.
Per conoscere i nomi di questi servitori dello Stato infedeli non sarà necessario attendere molto: le richieste di misure cautelari o interdittive, infatti, saranno esaminate dall’ufficio del giudice delle indagini preliminari. I provvedimenti non riguarderanno figure di secondo piano ma toccheranno tra gli altri ufficiali della Guardia di finanza e dei carabinieri. Questo snodo sarà fondamentale.
Quando infatti sarà acclarato che, come ipotizzano gli inquirenti sulla scorta di numerosi atti compiuti nell’arco di sei mesi, il flusso di notizie coperte da segreto si inserisce in una strategia mirata a screditare il presidente del Consiglio, l’inchiesta potrà considerare individuato il primo livello e puntare a quello successivo al centro del quale c’è la D’Addario.
L’estate scorsa il suo ex amante e protettore, Giuseppe Barba, l’ha denunciata per stalking e durante la sua deposizione fiume del 5 agosto il pm Dentamaro, di nuovo lui (e non è un caso), ha trovato lo spunto per aprire un nuovo filone d’indagine, quello incardinato, per ora, solo su un’ipotesi di associazione per delinquere. La notizia di reato è un presunto trasferimento di 1,5 milioni di euro dall’Italia al Qatar. Dentamaro, specializzato in fascicoli riguardanti le cosiddette fasce deboli, conosce benissimo la D’Addario e le ha dato credito in un processo, facendo condannare Barba nel 2006 per favoreggiamento della prostituzione. Questo non gli ha impedito, due anni dopo, il 3 luglio 2008, in occasione della richiesta di archiviazione per una denuncia, di ricredersi sul conto della donna e di liquidarla con queste parole: «Può validamente affermarsi che risulta compromessa l’intera credibilità della suddetta».
Il magistrato, dopo avere trovato i riscontri al viaggio della signora nella Penisola arabica, adesso vuole capire se anche le restanti dichiarazioni di Barba siano plausibili. Resta da scoprire perché la D’Addario avrebbe trasportato soldi all’estero: per costituire fondi neri? Per trasferire oltreconfine le mazzette incassate da eventuali amici politici? O magari per ripulire capitali di provenienza illecita? A dicembre, a Bari, un’imponente inchiesta antiriciclaggio ha portato all’arresto di un’ottantina di persone, molte legate al già citato clan Parisi. Un filone che non ha ancora finito di riservare sorprese.
Certamente la donna, nonostante le dichiarazioni dei redditi da indigente, negli ultimi mesi è al centro di accertamenti finanziari capillari che hanno permesso di appurare l’esistenza di numerosi conti correnti italiani ed esteri riferibili direttamente a lei, ai parenti più stretti o a prestanome. In particolare gli investigatori hanno puntato gli occhi su un tesoretto depositato presso una banca italiana, un gruzzolo non lontano da 1 milione di euro che sarebbe affluito negli ultimi mesi. Una ricchezza che per gli inquirenti non può essere giustificata con l’improvvisa notorietà della signora, anche perché lei, nella sua recente autobiografia, giura di non essersi mai fatta pagare per le interviste.
In procura sospettano che tutti quei soldi possano essere il premio per il ruolo recitato in questi mesi, quello di nemica giurata del premier. Anche se qualche investigatore non esclude che, viste alcune recenti frequentazioni della donna, quei soldi possano non appartenere a lei. Ma questa è una storia che merita di essere approfondita in un altro capitolo.
Qualunque sia l’origine di quel denaro, di certo, secondo i pm, la «pupa» con le sue rivelazioni non ha agito in questi mesi autonomamente e anzi sarebbe stata «eterodiretta». E per questo l’accusa ha iniziato, rimanendo sott’acqua, a dare la caccia ai presunti pupari.
Per scovarli, dovranno risalire al cosiddetto terzo livello, senza farsi cogliere dalle vertigini. Intanto hanno iniziato ad annotare i nomi degli agenti e dei collaboratori che stanno gestendo i frequenti viaggi all’estero di Patrizia D’Addario. Nomi che vengono conservati come reliquie dagli investigatori.
A proposito della presunta cabina di regia, in procura non escludono che chi ne fa parte possa avere selezionato la D’Addario già nel 2008 per poi affidarla all’imprenditore Gianpaolo Tarantini, che ha poi condotto la donna con il registratore nelle stanze di Berlusconi. Ma questa è la pista più insidiosa all’interno dello scenario del complotto che si sta delineando ai danni del premier. Ed è proprio per questo motivo che, allo stato attuale, bisogna concentrarsi sulla parte della trappola informativa ordita dopo le registrazioni della D’Addario. Qui i possibili registi sarebbero stati, ironia della sorte, ripresi dalle telecamere della polizia giudiziaria impegnata in alcuni appostamenti a Bari e, forse, anche dagli occhi elettronici di investigatori privati.
Immagini e foto sono state fatte nei giorni precedenti la decisione della D’Addario di consegnare al Corriere della sera la sua intervista denuncia (dopo essersi prima proposta a un settimanale e, a quanto risulta a Panorama, a un altro importante quotidiano). Secondo quanto sostenuto dal Fatto quotidiano, sarebbero stati filmati incontri tra il senatore del Pd Alberto Maritati (a lungo sostituto procuratore a Bari fino al 1999) e il pm Scelsi, tra Maritati e l’avvocato Maria Pia Vigilante (difensore della D’Addario), tra quest’ultima e una giornalista. Maritati ha confermato gli incontri escludendo di aver parlato dell’inchiesta.
Di certo quando Laudati e i suoi sostituti avranno disvelato il meccanismo che ha indirizzato le azioni del primo livello, la vicenda sarà più decifrabile e sarà evidente come giornali italiani e stranieri abbiano di fatto creato una struttura che ha agito in maniera sinergica e che ha avuto come conseguenza quella di danneggiare l’immagine del presidente del Consiglio. Un’organizzazione che apparentemente si è limitata a raccogliere oggettivamente il racconto della D’Addario, ma che in realtà, secondo l’accusa, si è messa in moto su impulso di politici, magistrati e personaggi senza scrupoli che hanno cercato di usare la signora come un’arma. Ma sulla scena del delitto hanno lasciato troppe prove.
Presto si scoprirà pure quali frutti stia dando la collaborazione avviata da Tarantini con gli inquirenti. L’imprenditore ha già messo in fila ore di interrogatori in cui ha fornito numerosi riscontri alle sue dichiarazioni. L’uomo non si è sottratto a nessuna domanda.
Per esempio, ha chiarito i suoi rapporti con Roberto De Santis (vedere il riquadro a destra), fulcro del potere dalemiano in Puglia. I magistrati hanno chiesto conto dei vari contatti e di un incontro fra i due in piazza Navona, a Roma, nella primavera del 2009. La coppia era insieme pure nell’estate di due anni prima, quando incrociò nel mare di Ponza l’allora ministro degli Esteri Massimo D’Alema, con il quale si ritrovò allo stesso tavolo per cena. Nel ristorante, fra i commensali, sedeva pure l’allora capo di stato maggiore della Guardia di finanza, generale Paolo Poletti. A riprova della capacità di Tarantini di tessere relazioni ad altissimi livelli gli inquirenti hanno annotato diverse telefonate dell’imprenditore proprio con Poletti, nominato nel novembre 2008 vicedirettore dell’Aisi, il servizio segreto che si occupa della sicurezza interna. Pupari, servitori dello Stato infedeli, 007: gli ingredienti per una perfetta spy-story non mancano, anche se rischiano di avvelenare il clima in procura, dove ormai la diffidenza contraddistingue persino i rapporti tra magistrati. Dopo l’annuncio di Panorama di un possibile fascicolo riguardante rilievi quanto meno disciplinari per le toghe, i pm sospettano gli uni degli altri. Alcuni sono allarmati financo dalle domande dei giornalisti, in cui temono di decifrare annunci di indagini a loro carico. Ma presto la partita si giocherà a carte scoperte.

martedì 2 febbraio 2010

SUBENTREREBBE VITTI, CHE NON È IN SINTONIA CON LA MAGGIORANZA
Consiglio, attesa la decisione per la surroga di Calenda

La surroga con il primo consigliere dei non eletti Orazio Vitti aprirà la riunione del consiglio comunale, convocato per domani alle 18.30. Vitti non ha ancora deciso se subentrare al consigliere dimissionario Rocco Calenda e la sua decisione potrebbe anche mettere in discussione la stessa maggioranza. La riunione del consiglio comunale giunge dopo le primarie del centrosinistra, primarie che hanno visto primeggiare Nichi Vendola.
Un dato inaspettato sotto taluni aspetti, che non dovrebbe mancare di analisi anche nella massima assise cittadina. Infatti Spinazzola, rispetto ad altre località della Puglia di certo non può dirsi estranea alle decisioni prese dalla Regione. Ovvero, direttamente, o suo tramite, dal presidente Nichi Vendola.
Prima tra tutte spicca la questione discarica nel sito di Grottelline. Un atto di imperio della Regione prima contrastato dalla maggioranza di centrosinistra guidata dal sindaco Carlo Scelzi poi condivisa. Scelta della Regione non del tutto chiarita quella della discarica a Grottelline, tanto da aver indotto la procura di Trani ad effettuare un sequestro probatorio del sito per gravi irregolarità.
Sconcertante la sparizione della memoria del computer dagli uffici dell’assessorato all’ambien - te, retto da Michele Losappio, contenente le valutazioni di impatto ambientale regionale. Furto che il Governo, rispondendo ad una interrogazione parlamentare dell’Italia dei Valori ha dichiarato essere attinente a Grottelline di Spinazzola.
Altra contraddizione che cozza con il suffragio conferito a Nichi Vendola a Spinazzola è l’alie - nazione delle proprietà date in dotazione alla città
dal benefattore Saraceno, usate per sanare il buco nella sanità pugliese. Con quello che la sanità, per le tante inchieste giudiziarie in atto, rappresenta nelle scelte e nella gestione polita in Puglia. E questo mentre l’ospe - dale di Spinazzola che avrebbe dovuto avere usufrutto da quelle
proprietà, così come i meno abbienti della città, viene a detta di molti impoverito della sua funzione e aspettativa. Ma c’è stato e c’è ancora l’assalto all’uso del territorio con l’instal - lazione di impianti per energia prodotte da fonti rinnovabili: eolico, fotovoltaico, biomasse.
Un “via libera” che interessa il territorio di Spinazzola riveniente dalla politica Regionale che vede suo precursore ancora il governatore Nichi Vendola, maggior suffragatao alle primarie spinazzolesi.