venerdì 24 dicembre 2021






A NATALE NON DIMENTICHIAMO LA BIDONVILLE PUGLIESE DOVE MUOIONO I BAMBINI
Omertà, omissioni e sfruttamento festeggiano 365 giorni l’anno
Ai disperati un avviso di garanzia - un atto dovuto dicono in Procura



C’è una storia, questa, la morte dei fratellini bulgari di due e quattro anni, Christian e Birka, bruciati mentre dormivano nella baraccopoli di Stornara (Fg) sulla via che porta a Cerignola (Fg) che più che scuotere le coscienze le ha schiaffeggiate.
Dopo la commozione e lo sconforto di circostanza per la disgrazia è sopraggiunta la vergogna verso le istituzioni di uno Stato che si dichiara civile, ma lascia “vivere” in condizioni disumane, di cui tutti sapevano, centinaia di persone.
La ricostruzione della tragedia: verso le nove di venerdì 17 dicembre, la madre dei piccoli va dalla vicina per prendere del caffè. Dal bidoncino in latta utilizzato come stufa partono le fiamme che avvolgono senza lasciare scampo la baracca dove i bambini stavano dormendo. La notizia raggiunge il papà dei piccoli nei campi dove era a lavoro come bracciante a giornata per la raccolta delle olive.
Il pianto straziante della donna, 27 anni lui e 20 lei, porta i Vigili del Fuoco intervenuti per domare l’incendio che si era propagato ad altre baracche, alla scoperta dei corpicini sepolti sotto lamiere e pezzi di legna ancora fumanti.
Christian e Birka erano arrivati lo scorso anno con i genitori Marano Dimitrov Denitar e Ghergeva Naidenova da Burgas, a bordo di uno dei pulmini che fanno la spola tra Italia e Bulgaria, attraversata la Grecia si erano imbarcati a Igoumentisa per poi traghettare fino a Brindisi. Da qui il viaggio era proseguito fino alla bidonville di Stornara, priva delle condizione igienico-sanitarie, non meno di 200 baracche che raggiunge anche tremila presenze nel pieno della campagna agricola.
Tuguri costruiti con materiali di fortuna: travi in legno, lamiere, pannelli di faesite, teli di polietilene probabilmente provenienti dai tendoni di uva contaminati da trattamenti chimici. Luogo, quello della località Contessa, tratturello Regio Ponte Bovino, che ci si affretta a definire un campo Rom, mentre ad abitarlo sono bulgari provenienti da diverse città: Sofia, Sliven, Stara Zagora, tutti con i documenti in regola. Sono braccianti stagionali.
Intorno alla loro stamberga Christian e Birka, come parco giochi da condividere con altri bambini, hanno tonnellate di rifiuti di ogni genere che si sono accumulati da un decennio, da quando è sorto il campo. A fare da colonna sonora il rumore delle pale eoliche piazzate poco distante.
Christian e Birka, molto probabilmente non hanno mai conosciuto altro, questo è stato il loro mondo.
A marzo 2020 ad andare a fuoco su un terreno adiacente al campo furono ecoballe, sostanze plastiche, tessuti, scarti di edilizia abbandonate dalla criminalità campana con la complicità di quella locale.
Troppo piccoli, Christian e Birka, per comprendere che per restare in quell’inferno da quarto mondo - come mantenendo l’anonimato qualcuno inizia a raccontare - anche i loro genitori pagavano un «fitto» a chi vanta «diritti» sull’area della baraccopoli. La famiglia dei Masciavè del clan mafioso omonimo, qualcuno al soggiorno obbligato, deferiti all'Autorità giudiziaria per “gestione di rifiuti non autorizzata”, violazioni in materia di armi e violazione delle prescrizioni di sorveglianza speciale. Nel 2015 beni sequestrati per oltre 1milione dopo l’operazione “Pecunia”, quattordici gli arresti, con accuse di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi, estorsione, usura, ricettazione, furti aggravati ed altro.
Mafiosi a parte, di quel campo tutti sapevano o meglio non potevano non sapere e in pochi hanno cercato di saperne di più. Come l’ex comandante dei vigili Angela Rutigliano, oggi ad Orta Nova dopo aver visto il suo incarico non più rinnovato dal sindaco Rocco Calamita di Stornara.
La Rutigliano nel 2020, come ricostruisce la testata “foggiacittaaperta.it” invia dopo l’incendio delle ecoballe una informativa a Prefettura, Carabinieri, Arpa, Asl e Sindaco di Stornara, segnalando l'esistenza dell'accampamento, situazione aggravata dalla presenza di molti minori e dal fatto che sull'intera area vi erano cavi elettrici e allacci abusivi. A giugno, sempre del 2020, il Dirigente del Servizio Igiene e Prevenzione Area Sud, Michele De Simone, sollecitato dalla Rutigliano, chiede al Comune di “voler urgentemente bonificare tali aree” e, in particolare, “allontanare ogni tipo di rifiuto che potrebbe essere nuovamente interessato da incendi di probabile natura dolosa”.
Ma non si muove nulla. Come nulla succede dopo i quattro interventi che i vigili supportati dall’Asl e altri organi provano ad effettuare nel campo, sollecitati dalla Procura dei Minori di Bari, giudice Rosario Plotino, il quale chiede di conoscere quanti minori esattamente si trovano al suo interno.
Forse 150, per farne la conta i vigili adoperano uno stratagemma, si presentono con una busta pieni di palloni per permette ai piccoli di giocare ed uscire dalle stamberghe.
Ma il censimento non va in porto.
Poi è arrivata la tragedia. Tra i primi a precipitarsi a Stornara il prefetto Carmine Esposito, napoletano, da un anno a Foggia, il quale dice chi era presente: “si è messo a piangere e si è abbracciato i genitori dei piccoli”. Immediatamente dopo il lancio della prima agenzia, giornalisti e troupe televisive si sono precipitate per documentare l’accaduto, taluni mantenendosi all’esterno del campo, mostrando all’Italia l’indicibile situazione in cui vivono i bulgari, cittadini europei, in terra di Puglia.
Sui social alle manifestazioni di pietas si sono contrapposti pigli di razzismo e accuse: “quello è il loro vivere e la loro cultura vivere in quel modo, tu che fai tanto il buonista parlando così, ti ci porto io davanti a quel campo di cui si sono appropriati Rom, Zingari e Bulgari. Vedi riesci ad entrare? Vedi riesci a passare di lì al buio per andare a Stornara? A piedi e nudo ti fanno ritirare, purtroppo è la loro cultura vivere così, questo non è né il primo e né l'ultimo caso, tu devi vedere quando si prendono a mazzate in quel campo, non sono capaci neanche i carabinieri ad intervenire, non riescono nemmeno ad entrare. Ma che dite, parlate parlate per far la vostra bella figura, ma statv cet”.
Ed ancora: “è il loro modo di vivere e non vogliono migliorare, vivere nei rifiuti”.
Altri commenti: “Bulgare? perché si trovano in Italia, a non fare niente, e non in Bulgaria?”. “Agli Italiani tolgono i figli, ai nomadi lasciano i figli, e li lasciano con genitori molte volte ladri. Bell’insegnamento!"
Quel che resta dei corpicini di Christian e Birka è ora a disposizione dell’autorità giudiziaria, poi ci sarà l’ultimo saluto di due genitori che non troveranno pace, iscritti nel registro degli indagati, un atto dovuto dicono in Procura. Per loro il coro della Questura di Foggia ha eseguito un concerto devolvendo il ricavato. Mentre il presidente della Puglia Michele Emiliano dopo un vertice con il prefetto Esposito ha dichiarato: “Abbiamo preso un impegno sulla memoria di Birka e Christian e nei confronti di tutti i bambini che sono in questi campi e che hanno il diritto ad una vita diversa”.
Sarebbe bastato, con poco, veramente poco, assicurare loro semplicemente la vita. 

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sabato 18 dicembre 2021

 Ecco la condizione in cui facciamo vivere altri cittadini europei, persone arrivate in Italia per lavorare lasciate sole come compagna quotidiana la morte.

Questa volta non è stato affatto semplice documentare, nessuno è autorizzato a girare il proprio sguardo altrove.

https://www.corriere.it/cronache/21_dicembre_17/foggia-hristov-alina-travolti-fiamme-morte-fratellini-baraccopoli-9c4b128c-5f86-11ec-9db8-81822b3ce727.shtml?fbclid=IwAR2RH18qr567kDhfu0G0xqgkjTSAw2abTlunBHtvIT2QPYxfq1FjvPSQl7A   

FOGGIA, HRISTOV E ALINA TRAVOLTI DALLE FIAMME.

La morte dei fratellini nella baraccopoli

di Carlo Vulpio, inviato a Stornara (Foggia)

Avevano 2 e 4 anni, vivevano nell’insediamento di Stornara tra lamiere e cumuli di immondizia. Il fuoco divampato da una stufetta a legna. La mamma era appena andata da una «vicina» a chiedere un po’ di caffè.

 

Due fratellini di quattro e due anni, un maschietto e una femminuccia, bulgari di Burgas, sono morti carbonizzati ieri mattina in una baracca della favela che sorge a un paio di chilometri dal cimitero di Stornara. Sono morti così, come possono morire soltanto i disperati della Terra. Come morirono Aylan e Galip, i fratellini curdi di tre e cinque anni annegati sulla spiaggia turca di Bodrum nel 2015 nel tentativo di cercare salvezza in quest’altra parte del Mediterraneo. La tragedia dei fratellini curdi venne riassunta dalla foto di Aylan riverso sulla spiaggia, che fece il giro del mondo e lo indusse a provvisoria commozione. Per i due fratellini bulgari Hristov e Alina nemmeno questo. Chi li ha visti non aveva niente da fotografare. I due corpicini si potevano a malapena distinguere da due pezzi di legno usati per il fuoco di un camino. E dopo che i pompieri hanno spento l’incendio, e medici e carabinieri hanno svolto i dovuti sopralluoghi, i due bimbi sono stati portati via dal carro funebre, seguito da una macchina in cui c’erano i loro giovani genitori, 25 anni lei e 28 lui. Niente nomi. Nessun commento. Anzi, che tutti mantengano la distanza sociale necessaria, perché c’è il Covid. Invece siamo entrati nella favela, l’abbiamo percorsa in ogni angolo, tra baracche di cartone e montagne di rifiuti, e abbiamo parlato con questa gente.

I piccoli addormentati

La tragedia è «semplice», banale. Ieri mattina, intorno alle 8.30, la mamma dei due bambini è andata da una vicina di «casa» a chiederle del caffè e si è trattenuta un po’ con lei. Hristov e Alina dormivano beati nella loro «casa» di cartone pressato e di lamiere, riscaldati da una stufetta a legna. All’improvviso, una colonna di fumo. Poi le fiamme e l’urlo della mamma: «I bambini!». Troppo tardi. Alle 9 la catapecchia era stata già divorata dalle fiamme e quando sono arrivati i vigili del fuoco si è trattato solo di impedire che l’incendio divampasse in tutta la favela, un sobborgo di Quarto Mondo innestato nelle campagne ben curate e molto produttive della Capitanata. Un posto di cui l’Italia dovrebbe vergognarsi, nel quale vivono come animali un migliaio di persone durante l’inverno e, d’estate, almeno tremila. Cioè più della metà degli abitanti di Stornara, ma concentrati su una superficie che non supera i due ettari.

I braccianti e le famiglie

In questo luogo dell’orrore non ci sono né clandestini, né extracomunitari. Gli abitanti di questa favela italiana sono tutti bulgari. Vengono da Burgas, come la famiglia di Hristov e Alina, ma anche da Sofia, da Sliven, da Stara Zagora, e hanno tutti i documenti in regola. Sono braccianti stagionali. Alcuni riescono a trovare lavoro regolare, molti altri soltanto a nero. Ma non si capisce perché ancora adesso molti continuino a ripetere che questo è un «campo nomadi». Non ci sono nomadi nella favela di Stornara, né di etnia Rom né di qualunque altra etnia. Al contrario, questi ubbidienti braccianti bulgari che vengono qui a lavorare nei campi e si portano dietro i figli piccoli sono più stanziali degli autoctoni. Tanto stanziali che per rimanere in questa discarica chiamata «campo» devono pagare 50 euro a testa a chi passa a riscuotere questa infame «tassa di soggiorno» vantando non meglio specificati «diritti» sull’area della baraccopoli. Hristov e Alina non sarebbero morti, e a Stornara e altrove non vi sarebbe una vera e propria emergenza umanitaria, se le istituzioni avessero fatto ciò che da anni chiedono i lavoratori agricoli stagionali stranieri: un insediamento di prefabbricati come quelli per i terremotati, magari incaricandone la Protezione civile, con acqua, corrente elettrica, servizio di raccolta dei rifiuti. Per vivere da umani. Per non morire bruciati vivi.




lunedì 13 dicembre 2021

https://www.quotidianocontribuenti.com/new/oro-rosso-di-puglia-il-traffico-delle-braccia-vale-milioni-di-euro/ 

Oro rosso di Puglia. Il traffico delle braccia vale milioni di euro




Tra le sedici nuove misure cautelari anche la moglie dell’ex prefetto di Regio Calabria, Michele Di Bari, promosso al Viminale da Salvini dopo aver insabbiato la relazione del suo vice, Francesco Campolo, che nel gennaio 2017 definì Lucano «un uomo che ha dedicato all’accoglienza buona parte della propria vita combattendo battaglie personali e raccogliendo riconoscimenti internazionali di assoluto prestigio»

di Cosimo Forina

È finita nella cronaca nazionale il prosieguo dell’operazione denominata “Principi e Caporali” ossia l’indagine sullo sfruttamento dei braccianti extracomunitari nella raccolta dell’oro rosso di Puglia, il pomodoro. Iniziata a luglio 2020 e conclusasi ad aprile scorso portò all’arresto di 10 persone.
Questa volta nell’operazione “Terra Rossa” (10 dicembre 2021) per violazione – a vario titolo – di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (603 bis c.p.) sono 16 le misure cautelari personali, 2 notificate in carcere, 3 arresti domiciliari e 11 sottoposti all’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria (art.282 Codice di procedura penale). Dieci le aziende agricole sottoposte a controllo giudiziario, introdotto con la legge 199/2016 ex art. 3, l’istituto in base al quale l’amministratore giudiziario affianca l’imprenditore nella gestione dell’azienda fino alla completa regolarizzazione di tutti i rapporti di lavoro intrattenuti ed alla rimozione di tutte le irregolarità riscontrate. I provvedimenti sono stati emessi dal gip Margherita Grippo dalla Procura della Repubblica di Foggia, le indagini sono state condotte dal Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Manfredonia e dal Nucleo Ispettorato del Lavoro di Foggia.
Gli sfruttati sono a decine, sempre loro: il popolo delle baracche abusive di Borgo Mezzanone a 45 chilometri da Manfredonia 15 da Foggia costretti a “vivere” in oltre 2.000 tra monnezza, prostituzione, precarie condizioni igienico-sanitarie e forte stato di bisogno nel ghetto sorto sull’ex pista dell’aeronautica militare ora dismessa.
I media, per questa seconda operazione dei Carabinieri contro il caporalato, si sono precipitati non per le braccia sfruttate con ingaggio a cottimo – vietato dalla legge – pagate cinque euro a cassone da riempire di pomodori (ben oltre i dieci quintali), mentre al caporale gambiano Bakary Saidy coadiuvato nelle illecite attività dal 32enne senegalese Bayo Kalifa dovevano essere corrisposti cinque euro per il trasporto e altri cinque per l’intermediazione con le aziende. Le indagini infatti hanno messo in luce difformità rispetto alla retribuzione stabilita dal CCNL e dalla tabella paga per gli operai agricoli a tempo determinato della provincia di Foggia (solo 35 per 10 ore di lavoro, che diventavano 25 per i 5 euro versati per il trasporto e 5 per la intermediazione) e hanno svelato un giro di assegni per legittimare buste paga non veritiere in cui venivano indicate un numero di giornate lavorative inferiori a quelle realmente prestate dai lavoratori, a cui venivano scippati riposi e ferie spettanti, mancate visite mediche obbligatorie e mancata dotazione antinfortunistica.
La “notizia” che interessa i media è che tra i 16 provvedimenti notificati con l’obbligo di firma per sfruttamento dei lavoratori ci è finita anche tale imprenditrice agricola di Mattinata (Fg) Rosalba Livrerio Bisceglia la quale con le sorelle Antonella e Maria Cristina conduce l’azienda di famiglia (uliveti, frutteti, frantoi oleari, l’agriturismo «Giorgio»). Stando alle intercettazioni riportate nelle 118 pagine dell’ordinanza del gip sarebbe stata lei a trattare con i caporali e con Matteo Bisceglia «sorvegliante» dei campi, e ad occuparsi delle buste paga fasulle (Matteo Bisceglia lo dice al telefono con Saidy: «Guarda che delle buste paga si occupa la signora»).
La signora è la moglie del prefetto Michele Di Bari, capo del dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del Viminale (nominato da Salvini), in passato viceprefetto di Foggia, poi prefetto a Vibo Valentia, Modena e Reggio Calabria quando a finire nel tritacarne delle relazioni prefettizie fu Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace, condannato nel processo “Xenia” a 13 anni e 2 mesi dal Tribunale di Locri per il modello/riferimento dell’accoglienza dei migranti. Dal Viminale Di Bari ha subito rassegnato le dimissioni, accettate dalla Ministra Luciana Lamorgese.
Nel “piatto ricco” della notizia ci si sono buttati tutti. Infatti i Tg a reti unificate nazionali e regionali hanno messo in risalto non solo l’indagata ma soprattutto il marito che nei cassetti della sua scrivania da prefetto custodiva la relazione del suo vice Francesco Campolo che, nel gennaio 2017, definì Lucano «un uomo che ha dedicato all’accoglienza buona parte della propria vita combattendo battaglie personali e raccogliendo riconoscimenti internazionali di assoluto prestigio».
Rapporto, questo, bollato come “favoletta” e saltato fuori dopo le tante istanze e insistenze degli avvocati di Mimmo Lucano del tutto in controtendenza rispetto alle successive relazioni prefettizie finite all’attenzione del magistrato.
Un’occasione – quella offerta da questa indagine – per affrontare lo sfruttamento dei braccianti costretti a condizioni indicibili nonostante la nuova legge contro il lavoro nero in agricoltura concepita sia per garantire tutela e dignità dei lavoratori agricoli stranieri e italiani sia per rafforzare le misure a favore delle imprese agricole in regola.
Gli atti di criminalità persistono e a rimetterci sono sempre i più deboli. Come successo di recente nel tarantino – nel totale silenzio della stampa – dove un centinaio di braccianti extracomunitari si sono visti costretti a rivolgersi alla Cgil perché dopo un mese di lavoro sotto i tendoni da uva l’imprenditore ha deciso di non pagare nessuno. Ed ovviamente chi è senza documenti sa che perderà tutto.
Il traffico delle braccia in agricoltura vale milioni di euro e viene praticato dal sud al nord del paese. Braccianti che per lo più arrivano dal Burkina Faso, Mali, Costa D’Avorio, Ghana o dal Sudan, costretti a vivere di patimenti e di ricatti ancor più se sono irregolari. Te li ritrovi impegnati a Nardò (Le) nella raccolta delle angurie, caricati come bestie da soma in quindici-venti su furgoni senza finestrini, nella raccolta delle cipolle tra Margherita di Savoia, Zapponeta e Chieuti, nella raccolta di pomodori nel foggiano e in Basilicata e degli agrumi a Rosarno (Reggio Calabria), e ancora della patata novella a Cassibile (una frazione di Siracusa), e nel basso Lazio dove ad essere sfruttati sono più gli indiani. Risalendo lungo lo stivale li ritrovi tra i vigneti del chianti e per la raccolta delle mele nel Trentino.
Per gli «invisibili» tutto ha un costo: per essere portati sui campi dove spaccarsi la schiena dall’alba al tramonto spendono 5euro; per una tanica in plastica, contenitori di prodotti chimici agricoli, in cui poter tenere l’acqua da bere versano dai 3 ai 5euro; per ricaricare la batteria del telefonino dai 10 centesimi ad un euro; per una improvvisa corsa in ospedale dai 10 ai 15euro. L’unica legge è quella imposta dal caporale che paga 5euro a cassone pieno di pomodori per incassarne almeno 6 dall’agricoltore. Un giro di affari vertiginoso nella più totale illegalità.
Le dieci aziende sottoposte a controllo giudiziario hanno – come è stato accertato – un volume di affari di 5 milioni di euro annuo, sicuramente sufficiente per assunzioni e paghe regolari senza ricorrere ai caporali e mantenendo, nonostante le oscillazioni dei prezzi imposti dall’industria di trasformazione, un buon reddito e valore etico al proprio prodotto.
E tutto questo continua ad accadere mentre si è in attesa del processo di appello a Mimmo Lucano il quale così ha commentato alla testata del Manifesto l’operazione “Terra Rossa”: «Le mie critiche sono state sempre di natura politica e le sue dimissioni la dimostrazione che la luce si fa strada da sola». Ed ancora: «Troppi misteri si sono annidati nella Prefettura di Reggio quando a guidarla era Di Bari. Prima che lui arrivasse, Riace aveva avuto sempre rapporti molto stretti con la Prefettura perché era sempre disponibile ad accogliere a tutte le ore i migranti. Un filo diretto tra istituzione e seconda accoglienza che funzionava. Poi, con il cambio al vertice, tutto è iniziato a mutare. La Prefettura è diventato luogo ostile, era impossibile comunicare con i funzionari. In quel tempo la notorietà acquisita da Riace era alta e aveva attirato l’attenzione mondiale. Sono iniziate le ispezioni della Guardia di Finanza, dei funzionari prefettizi. Quattro relazioni in poco tempo, due a favore e due contrarie. Una di queste, quella più favorevole dove si descrive il modello di accoglienza di Riace, così come lo raccontava il mondo intero, è sparita. Abbiamo aspettato un anno con incessanti richieste formali dei miei legali prima di poterla leggere per intero. Un giorno mi presentai con padre Zanotelli in Prefettura e Di Bari si rifiutò di incontrarci. Mentre fu molto solerte e puntuale nel firmare l’autorizzazione a una manifestazione neofascista a Riace. Portarono le bandiere nere fin sotto al Comune. Una vergogna».

mercoledì 1 dicembre 2021


 GROTTELLINE TORNA AL VAGLIO DEL CONSIGLIO REGIONALE

Il nuovo Piano Regionale dei Rifiuti dopo il via libera della Giunta (19 ottobre) è approdato in Consiglio Regionale (30 novembre) per la definitiva approvazione.
Nella città dormiente di Spinazzola tuttavia come da consuetudine vige la consegna del silenzio: come risulta dagli atti nessun dibattito, nessuna manifestazione, nessuna osservazione è stata presentata dall’amministrazione per chiedere la definitiva cancellazione di Grottelline dal Piano Regionale dei Rifiuti.
Potrebbe - il condizionale in questa vicenda è sempre d’obbligo - tuttavia essere questa la volta buona per mettere la parola fine alla cervellotica scelta di realizzare impianti e immondezzaio a Spinazzola dopo trentuno anni di esasperazione.
Come documentato nel mio libro “Il caso Grottelline. Cronaca di un giornalista in provincia” la scelta servile del tentativo di distruggere un luogo di interesse storico, archeologico, naturalistico e paesaggistico per favorire le lobby della monnezza ha avuto inizio nel lontano 1990 con una amministrazione comunale PCI – DC. Poi sempre con il beneplacito dei politichicchi locali il sito è finito nel mirino della Regione Puglia principalmente dal 2004, prima con Raffaele Fitto poi con il governatore Nicola Vendola (detto Nichi) firmatario del contratto di realizzazione e gestione all’Ati Tradeco-Gogeam (Gruppo Columella per la Tradeco, al 51 per cento Marcegaglia Spa e 49 per cento Cisa Spa). Vendola si è speso parecchio, per poi essere smentito, nel voler far realizzare a Grottelline impianti e discarica.
In tutta franchezza dopo gli avvenimenti che hanno caratterizzato questa sporca storia (sequestri, collusione tra politica e lobby dei rifiuti, carte farlocche, documenti spariti, furti di memorie dei computer che contenevano i dati dell’impianto, interrogazioni parlamentari, trasferimento e richiamo dalla presidenza del Consiglio dei Ministri del faldone, vincoli delle Soprintendenza, ricorsi al Tar) ci si aspettava l’immediata cancellazione di Spinazzola dal Piano Regionale. Invece anche il successore di Vendola, Michele Emiliano - al suo secondo mandato - non ha brillato in prontezza e coerenza di propositi come invece aveva annunciato.
Spinazzola è ancora nel Piano dei Rifiuti come discarica “parzialmente allestita” se pur con paletti che sembrerebbero far propendere per la non realizzazione dell’immondezzaio. Ed infatti nel nuovo Piano l’impianto risulta avviato (si tratta dei primi lavori eseguiti prima del primo sequestro da parte della Procura di Trani) ma non completato. Il gestore inoltre non ha dato seguito alle opere di regimentazione del corso d’acqua limitrofo alla discarica, definito canale ma che in realtà è un ruscello perenne, poi assoggettato a procedimento di VIA grazie a una valanga di osservazioni. Risulta anche sospeso il procedimento di riesame di Autorizzazione Integrata Ambientale.
La scheda riferita a Spinazzola riporta la Sentenza del TAR Lazio (7252/2020) che ha sancito “l'annullamento, previa sospensiva, con ricorso introduttivo” di vari Decreti del Commissario Delegato per l’emergenza ambientale nella Regione Puglia a partire dal 31.1.2007, dei successivi, degli atti del procedimento di occupazione d’urgenza e di espropriazione; di tutti gli atti ai predetti comunque connessi, per poi concludere con un […omissis…].
In pratica ad essere bocciate, perché illegittime, le manfrine di Nicola Vendola e della sua Giunta, quelle dall’assessorato all’ambiente retto da Michele Losappio e poi dai suoi successori con cui si intendeva sanare le lacune del progetto, compresa la proroga paesaggistica. Una perla, questa, dell’allora assessore Angela Barbanente (Assetto del territorio). Bocciata pure l’estensione all’utilizzo degli impianti dal Bacino Ba/4 - a cui inizialmente la discarica era stata destinata (200mila abitanti) – all’intera provincia Barletta-Andria-Trani (400mila abitanti). Vendola autoproclamatosi “il governatore della rivoluzione gentile” in questa storia si è rilevato un mentitore seriale. Ma era in buona compagnia. Intanto, dopo il fallimento della Tradeco srl, dalla scheda regionale risulta che l’impianto sarebbe passato di mano dalla Gogeam a Progetto Ambiente Ba/4 indicata come titolare dell’autorizzazione all’esercizio. E ancora, nel Piano rifiuti la localizzazione di Grottelline è indicata erroneamente nel “Comune di Spinazzola (Città Metropolitana di Bari)”: tutti sappiamo che Spinazzola appartiene alla provincia Barletta-Andria-Trani.
La ciliegina finale è offerta da Ager Puglia (Agenzia territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti), agenzia guidata da Gianfranco Grandaliano che così ha sentenziato: «In seguito alla pronunzia del Giudice Amministrativo, nonché alle richieste dei Comuni di Poggiorsini e Spinazzola del 23 luglio 2020, visto il mutato scenario su scala regionale ed i fabbisogni e gli obiettivi ridefiniti dal presente Piano, si ritiene l’impianto complesso di trattamento meccanico biologico e discarica di servizio non sia più funzionale alla gestione del ciclo dei rifiuti in Puglia».
Non mancano altre anomalia. Sempre nel Piano alla sezione “Bonifica aree inquinate” Spinazzola è riportata per due siti: quello dell’ex discarica comunale, su cui sembra pendere un procedimento penale, ed il sito dell’Eni di Corso Umberto per perdita di carburante. Del tutto esclusa Grottelline dove su indagine condotta dai Carabinieri Forestali su mandato della Dda di Bari nel 2015 erano stati scoperti rifiuti interrati a dieci metri. Scenario non da poco! Se è vero, come si ciancia, di attendere la definitiva esclusione del sito dal Piano dei rifiuti per rilanciarlo degnamente come luogo di interesse storico-turistico, a chi toccherà rimuovere la monnezza interrata?
E anche su questo punto nessuna osservazione è pervenuta dal Comune di Spinazzola alla Regione Puglia.
Tutti questi fatti, ignorati dai redattori del nuovo Piano, sarebbero stati sufficienti per eliminare definitivamente Spinazzola dal Piano stesso? Cos’altro si attende?
Chi ha voglia di saperne di più acquisti e regali il mio libro per Natale, in attesa di conoscere, speriamo di no, altre alchimie partorite dal Consiglio regionale.