venerdì 24 dicembre 2021






A NATALE NON DIMENTICHIAMO LA BIDONVILLE PUGLIESE DOVE MUOIONO I BAMBINI
Omertà, omissioni e sfruttamento festeggiano 365 giorni l’anno
Ai disperati un avviso di garanzia - un atto dovuto dicono in Procura



C’è una storia, questa, la morte dei fratellini bulgari di due e quattro anni, Christian e Birka, bruciati mentre dormivano nella baraccopoli di Stornara (Fg) sulla via che porta a Cerignola (Fg) che più che scuotere le coscienze le ha schiaffeggiate.
Dopo la commozione e lo sconforto di circostanza per la disgrazia è sopraggiunta la vergogna verso le istituzioni di uno Stato che si dichiara civile, ma lascia “vivere” in condizioni disumane, di cui tutti sapevano, centinaia di persone.
La ricostruzione della tragedia: verso le nove di venerdì 17 dicembre, la madre dei piccoli va dalla vicina per prendere del caffè. Dal bidoncino in latta utilizzato come stufa partono le fiamme che avvolgono senza lasciare scampo la baracca dove i bambini stavano dormendo. La notizia raggiunge il papà dei piccoli nei campi dove era a lavoro come bracciante a giornata per la raccolta delle olive.
Il pianto straziante della donna, 27 anni lui e 20 lei, porta i Vigili del Fuoco intervenuti per domare l’incendio che si era propagato ad altre baracche, alla scoperta dei corpicini sepolti sotto lamiere e pezzi di legna ancora fumanti.
Christian e Birka erano arrivati lo scorso anno con i genitori Marano Dimitrov Denitar e Ghergeva Naidenova da Burgas, a bordo di uno dei pulmini che fanno la spola tra Italia e Bulgaria, attraversata la Grecia si erano imbarcati a Igoumentisa per poi traghettare fino a Brindisi. Da qui il viaggio era proseguito fino alla bidonville di Stornara, priva delle condizione igienico-sanitarie, non meno di 200 baracche che raggiunge anche tremila presenze nel pieno della campagna agricola.
Tuguri costruiti con materiali di fortuna: travi in legno, lamiere, pannelli di faesite, teli di polietilene probabilmente provenienti dai tendoni di uva contaminati da trattamenti chimici. Luogo, quello della località Contessa, tratturello Regio Ponte Bovino, che ci si affretta a definire un campo Rom, mentre ad abitarlo sono bulgari provenienti da diverse città: Sofia, Sliven, Stara Zagora, tutti con i documenti in regola. Sono braccianti stagionali.
Intorno alla loro stamberga Christian e Birka, come parco giochi da condividere con altri bambini, hanno tonnellate di rifiuti di ogni genere che si sono accumulati da un decennio, da quando è sorto il campo. A fare da colonna sonora il rumore delle pale eoliche piazzate poco distante.
Christian e Birka, molto probabilmente non hanno mai conosciuto altro, questo è stato il loro mondo.
A marzo 2020 ad andare a fuoco su un terreno adiacente al campo furono ecoballe, sostanze plastiche, tessuti, scarti di edilizia abbandonate dalla criminalità campana con la complicità di quella locale.
Troppo piccoli, Christian e Birka, per comprendere che per restare in quell’inferno da quarto mondo - come mantenendo l’anonimato qualcuno inizia a raccontare - anche i loro genitori pagavano un «fitto» a chi vanta «diritti» sull’area della baraccopoli. La famiglia dei Masciavè del clan mafioso omonimo, qualcuno al soggiorno obbligato, deferiti all'Autorità giudiziaria per “gestione di rifiuti non autorizzata”, violazioni in materia di armi e violazione delle prescrizioni di sorveglianza speciale. Nel 2015 beni sequestrati per oltre 1milione dopo l’operazione “Pecunia”, quattordici gli arresti, con accuse di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi, estorsione, usura, ricettazione, furti aggravati ed altro.
Mafiosi a parte, di quel campo tutti sapevano o meglio non potevano non sapere e in pochi hanno cercato di saperne di più. Come l’ex comandante dei vigili Angela Rutigliano, oggi ad Orta Nova dopo aver visto il suo incarico non più rinnovato dal sindaco Rocco Calamita di Stornara.
La Rutigliano nel 2020, come ricostruisce la testata “foggiacittaaperta.it” invia dopo l’incendio delle ecoballe una informativa a Prefettura, Carabinieri, Arpa, Asl e Sindaco di Stornara, segnalando l'esistenza dell'accampamento, situazione aggravata dalla presenza di molti minori e dal fatto che sull'intera area vi erano cavi elettrici e allacci abusivi. A giugno, sempre del 2020, il Dirigente del Servizio Igiene e Prevenzione Area Sud, Michele De Simone, sollecitato dalla Rutigliano, chiede al Comune di “voler urgentemente bonificare tali aree” e, in particolare, “allontanare ogni tipo di rifiuto che potrebbe essere nuovamente interessato da incendi di probabile natura dolosa”.
Ma non si muove nulla. Come nulla succede dopo i quattro interventi che i vigili supportati dall’Asl e altri organi provano ad effettuare nel campo, sollecitati dalla Procura dei Minori di Bari, giudice Rosario Plotino, il quale chiede di conoscere quanti minori esattamente si trovano al suo interno.
Forse 150, per farne la conta i vigili adoperano uno stratagemma, si presentono con una busta pieni di palloni per permette ai piccoli di giocare ed uscire dalle stamberghe.
Ma il censimento non va in porto.
Poi è arrivata la tragedia. Tra i primi a precipitarsi a Stornara il prefetto Carmine Esposito, napoletano, da un anno a Foggia, il quale dice chi era presente: “si è messo a piangere e si è abbracciato i genitori dei piccoli”. Immediatamente dopo il lancio della prima agenzia, giornalisti e troupe televisive si sono precipitate per documentare l’accaduto, taluni mantenendosi all’esterno del campo, mostrando all’Italia l’indicibile situazione in cui vivono i bulgari, cittadini europei, in terra di Puglia.
Sui social alle manifestazioni di pietas si sono contrapposti pigli di razzismo e accuse: “quello è il loro vivere e la loro cultura vivere in quel modo, tu che fai tanto il buonista parlando così, ti ci porto io davanti a quel campo di cui si sono appropriati Rom, Zingari e Bulgari. Vedi riesci ad entrare? Vedi riesci a passare di lì al buio per andare a Stornara? A piedi e nudo ti fanno ritirare, purtroppo è la loro cultura vivere così, questo non è né il primo e né l'ultimo caso, tu devi vedere quando si prendono a mazzate in quel campo, non sono capaci neanche i carabinieri ad intervenire, non riescono nemmeno ad entrare. Ma che dite, parlate parlate per far la vostra bella figura, ma statv cet”.
Ed ancora: “è il loro modo di vivere e non vogliono migliorare, vivere nei rifiuti”.
Altri commenti: “Bulgare? perché si trovano in Italia, a non fare niente, e non in Bulgaria?”. “Agli Italiani tolgono i figli, ai nomadi lasciano i figli, e li lasciano con genitori molte volte ladri. Bell’insegnamento!"
Quel che resta dei corpicini di Christian e Birka è ora a disposizione dell’autorità giudiziaria, poi ci sarà l’ultimo saluto di due genitori che non troveranno pace, iscritti nel registro degli indagati, un atto dovuto dicono in Procura. Per loro il coro della Questura di Foggia ha eseguito un concerto devolvendo il ricavato. Mentre il presidente della Puglia Michele Emiliano dopo un vertice con il prefetto Esposito ha dichiarato: “Abbiamo preso un impegno sulla memoria di Birka e Christian e nei confronti di tutti i bambini che sono in questi campi e che hanno il diritto ad una vita diversa”.
Sarebbe bastato, con poco, veramente poco, assicurare loro semplicemente la vita. 

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sabato 18 dicembre 2021

 Ecco la condizione in cui facciamo vivere altri cittadini europei, persone arrivate in Italia per lavorare lasciate sole come compagna quotidiana la morte.

Questa volta non è stato affatto semplice documentare, nessuno è autorizzato a girare il proprio sguardo altrove.

https://www.corriere.it/cronache/21_dicembre_17/foggia-hristov-alina-travolti-fiamme-morte-fratellini-baraccopoli-9c4b128c-5f86-11ec-9db8-81822b3ce727.shtml?fbclid=IwAR2RH18qr567kDhfu0G0xqgkjTSAw2abTlunBHtvIT2QPYxfq1FjvPSQl7A   

FOGGIA, HRISTOV E ALINA TRAVOLTI DALLE FIAMME.

La morte dei fratellini nella baraccopoli

di Carlo Vulpio, inviato a Stornara (Foggia)

Avevano 2 e 4 anni, vivevano nell’insediamento di Stornara tra lamiere e cumuli di immondizia. Il fuoco divampato da una stufetta a legna. La mamma era appena andata da una «vicina» a chiedere un po’ di caffè.

 

Due fratellini di quattro e due anni, un maschietto e una femminuccia, bulgari di Burgas, sono morti carbonizzati ieri mattina in una baracca della favela che sorge a un paio di chilometri dal cimitero di Stornara. Sono morti così, come possono morire soltanto i disperati della Terra. Come morirono Aylan e Galip, i fratellini curdi di tre e cinque anni annegati sulla spiaggia turca di Bodrum nel 2015 nel tentativo di cercare salvezza in quest’altra parte del Mediterraneo. La tragedia dei fratellini curdi venne riassunta dalla foto di Aylan riverso sulla spiaggia, che fece il giro del mondo e lo indusse a provvisoria commozione. Per i due fratellini bulgari Hristov e Alina nemmeno questo. Chi li ha visti non aveva niente da fotografare. I due corpicini si potevano a malapena distinguere da due pezzi di legno usati per il fuoco di un camino. E dopo che i pompieri hanno spento l’incendio, e medici e carabinieri hanno svolto i dovuti sopralluoghi, i due bimbi sono stati portati via dal carro funebre, seguito da una macchina in cui c’erano i loro giovani genitori, 25 anni lei e 28 lui. Niente nomi. Nessun commento. Anzi, che tutti mantengano la distanza sociale necessaria, perché c’è il Covid. Invece siamo entrati nella favela, l’abbiamo percorsa in ogni angolo, tra baracche di cartone e montagne di rifiuti, e abbiamo parlato con questa gente.

I piccoli addormentati

La tragedia è «semplice», banale. Ieri mattina, intorno alle 8.30, la mamma dei due bambini è andata da una vicina di «casa» a chiederle del caffè e si è trattenuta un po’ con lei. Hristov e Alina dormivano beati nella loro «casa» di cartone pressato e di lamiere, riscaldati da una stufetta a legna. All’improvviso, una colonna di fumo. Poi le fiamme e l’urlo della mamma: «I bambini!». Troppo tardi. Alle 9 la catapecchia era stata già divorata dalle fiamme e quando sono arrivati i vigili del fuoco si è trattato solo di impedire che l’incendio divampasse in tutta la favela, un sobborgo di Quarto Mondo innestato nelle campagne ben curate e molto produttive della Capitanata. Un posto di cui l’Italia dovrebbe vergognarsi, nel quale vivono come animali un migliaio di persone durante l’inverno e, d’estate, almeno tremila. Cioè più della metà degli abitanti di Stornara, ma concentrati su una superficie che non supera i due ettari.

I braccianti e le famiglie

In questo luogo dell’orrore non ci sono né clandestini, né extracomunitari. Gli abitanti di questa favela italiana sono tutti bulgari. Vengono da Burgas, come la famiglia di Hristov e Alina, ma anche da Sofia, da Sliven, da Stara Zagora, e hanno tutti i documenti in regola. Sono braccianti stagionali. Alcuni riescono a trovare lavoro regolare, molti altri soltanto a nero. Ma non si capisce perché ancora adesso molti continuino a ripetere che questo è un «campo nomadi». Non ci sono nomadi nella favela di Stornara, né di etnia Rom né di qualunque altra etnia. Al contrario, questi ubbidienti braccianti bulgari che vengono qui a lavorare nei campi e si portano dietro i figli piccoli sono più stanziali degli autoctoni. Tanto stanziali che per rimanere in questa discarica chiamata «campo» devono pagare 50 euro a testa a chi passa a riscuotere questa infame «tassa di soggiorno» vantando non meglio specificati «diritti» sull’area della baraccopoli. Hristov e Alina non sarebbero morti, e a Stornara e altrove non vi sarebbe una vera e propria emergenza umanitaria, se le istituzioni avessero fatto ciò che da anni chiedono i lavoratori agricoli stagionali stranieri: un insediamento di prefabbricati come quelli per i terremotati, magari incaricandone la Protezione civile, con acqua, corrente elettrica, servizio di raccolta dei rifiuti. Per vivere da umani. Per non morire bruciati vivi.




lunedì 13 dicembre 2021

https://www.quotidianocontribuenti.com/new/oro-rosso-di-puglia-il-traffico-delle-braccia-vale-milioni-di-euro/ 

Oro rosso di Puglia. Il traffico delle braccia vale milioni di euro




Tra le sedici nuove misure cautelari anche la moglie dell’ex prefetto di Regio Calabria, Michele Di Bari, promosso al Viminale da Salvini dopo aver insabbiato la relazione del suo vice, Francesco Campolo, che nel gennaio 2017 definì Lucano «un uomo che ha dedicato all’accoglienza buona parte della propria vita combattendo battaglie personali e raccogliendo riconoscimenti internazionali di assoluto prestigio»

di Cosimo Forina

È finita nella cronaca nazionale il prosieguo dell’operazione denominata “Principi e Caporali” ossia l’indagine sullo sfruttamento dei braccianti extracomunitari nella raccolta dell’oro rosso di Puglia, il pomodoro. Iniziata a luglio 2020 e conclusasi ad aprile scorso portò all’arresto di 10 persone.
Questa volta nell’operazione “Terra Rossa” (10 dicembre 2021) per violazione – a vario titolo – di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (603 bis c.p.) sono 16 le misure cautelari personali, 2 notificate in carcere, 3 arresti domiciliari e 11 sottoposti all’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria (art.282 Codice di procedura penale). Dieci le aziende agricole sottoposte a controllo giudiziario, introdotto con la legge 199/2016 ex art. 3, l’istituto in base al quale l’amministratore giudiziario affianca l’imprenditore nella gestione dell’azienda fino alla completa regolarizzazione di tutti i rapporti di lavoro intrattenuti ed alla rimozione di tutte le irregolarità riscontrate. I provvedimenti sono stati emessi dal gip Margherita Grippo dalla Procura della Repubblica di Foggia, le indagini sono state condotte dal Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Manfredonia e dal Nucleo Ispettorato del Lavoro di Foggia.
Gli sfruttati sono a decine, sempre loro: il popolo delle baracche abusive di Borgo Mezzanone a 45 chilometri da Manfredonia 15 da Foggia costretti a “vivere” in oltre 2.000 tra monnezza, prostituzione, precarie condizioni igienico-sanitarie e forte stato di bisogno nel ghetto sorto sull’ex pista dell’aeronautica militare ora dismessa.
I media, per questa seconda operazione dei Carabinieri contro il caporalato, si sono precipitati non per le braccia sfruttate con ingaggio a cottimo – vietato dalla legge – pagate cinque euro a cassone da riempire di pomodori (ben oltre i dieci quintali), mentre al caporale gambiano Bakary Saidy coadiuvato nelle illecite attività dal 32enne senegalese Bayo Kalifa dovevano essere corrisposti cinque euro per il trasporto e altri cinque per l’intermediazione con le aziende. Le indagini infatti hanno messo in luce difformità rispetto alla retribuzione stabilita dal CCNL e dalla tabella paga per gli operai agricoli a tempo determinato della provincia di Foggia (solo 35 per 10 ore di lavoro, che diventavano 25 per i 5 euro versati per il trasporto e 5 per la intermediazione) e hanno svelato un giro di assegni per legittimare buste paga non veritiere in cui venivano indicate un numero di giornate lavorative inferiori a quelle realmente prestate dai lavoratori, a cui venivano scippati riposi e ferie spettanti, mancate visite mediche obbligatorie e mancata dotazione antinfortunistica.
La “notizia” che interessa i media è che tra i 16 provvedimenti notificati con l’obbligo di firma per sfruttamento dei lavoratori ci è finita anche tale imprenditrice agricola di Mattinata (Fg) Rosalba Livrerio Bisceglia la quale con le sorelle Antonella e Maria Cristina conduce l’azienda di famiglia (uliveti, frutteti, frantoi oleari, l’agriturismo «Giorgio»). Stando alle intercettazioni riportate nelle 118 pagine dell’ordinanza del gip sarebbe stata lei a trattare con i caporali e con Matteo Bisceglia «sorvegliante» dei campi, e ad occuparsi delle buste paga fasulle (Matteo Bisceglia lo dice al telefono con Saidy: «Guarda che delle buste paga si occupa la signora»).
La signora è la moglie del prefetto Michele Di Bari, capo del dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del Viminale (nominato da Salvini), in passato viceprefetto di Foggia, poi prefetto a Vibo Valentia, Modena e Reggio Calabria quando a finire nel tritacarne delle relazioni prefettizie fu Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace, condannato nel processo “Xenia” a 13 anni e 2 mesi dal Tribunale di Locri per il modello/riferimento dell’accoglienza dei migranti. Dal Viminale Di Bari ha subito rassegnato le dimissioni, accettate dalla Ministra Luciana Lamorgese.
Nel “piatto ricco” della notizia ci si sono buttati tutti. Infatti i Tg a reti unificate nazionali e regionali hanno messo in risalto non solo l’indagata ma soprattutto il marito che nei cassetti della sua scrivania da prefetto custodiva la relazione del suo vice Francesco Campolo che, nel gennaio 2017, definì Lucano «un uomo che ha dedicato all’accoglienza buona parte della propria vita combattendo battaglie personali e raccogliendo riconoscimenti internazionali di assoluto prestigio».
Rapporto, questo, bollato come “favoletta” e saltato fuori dopo le tante istanze e insistenze degli avvocati di Mimmo Lucano del tutto in controtendenza rispetto alle successive relazioni prefettizie finite all’attenzione del magistrato.
Un’occasione – quella offerta da questa indagine – per affrontare lo sfruttamento dei braccianti costretti a condizioni indicibili nonostante la nuova legge contro il lavoro nero in agricoltura concepita sia per garantire tutela e dignità dei lavoratori agricoli stranieri e italiani sia per rafforzare le misure a favore delle imprese agricole in regola.
Gli atti di criminalità persistono e a rimetterci sono sempre i più deboli. Come successo di recente nel tarantino – nel totale silenzio della stampa – dove un centinaio di braccianti extracomunitari si sono visti costretti a rivolgersi alla Cgil perché dopo un mese di lavoro sotto i tendoni da uva l’imprenditore ha deciso di non pagare nessuno. Ed ovviamente chi è senza documenti sa che perderà tutto.
Il traffico delle braccia in agricoltura vale milioni di euro e viene praticato dal sud al nord del paese. Braccianti che per lo più arrivano dal Burkina Faso, Mali, Costa D’Avorio, Ghana o dal Sudan, costretti a vivere di patimenti e di ricatti ancor più se sono irregolari. Te li ritrovi impegnati a Nardò (Le) nella raccolta delle angurie, caricati come bestie da soma in quindici-venti su furgoni senza finestrini, nella raccolta delle cipolle tra Margherita di Savoia, Zapponeta e Chieuti, nella raccolta di pomodori nel foggiano e in Basilicata e degli agrumi a Rosarno (Reggio Calabria), e ancora della patata novella a Cassibile (una frazione di Siracusa), e nel basso Lazio dove ad essere sfruttati sono più gli indiani. Risalendo lungo lo stivale li ritrovi tra i vigneti del chianti e per la raccolta delle mele nel Trentino.
Per gli «invisibili» tutto ha un costo: per essere portati sui campi dove spaccarsi la schiena dall’alba al tramonto spendono 5euro; per una tanica in plastica, contenitori di prodotti chimici agricoli, in cui poter tenere l’acqua da bere versano dai 3 ai 5euro; per ricaricare la batteria del telefonino dai 10 centesimi ad un euro; per una improvvisa corsa in ospedale dai 10 ai 15euro. L’unica legge è quella imposta dal caporale che paga 5euro a cassone pieno di pomodori per incassarne almeno 6 dall’agricoltore. Un giro di affari vertiginoso nella più totale illegalità.
Le dieci aziende sottoposte a controllo giudiziario hanno – come è stato accertato – un volume di affari di 5 milioni di euro annuo, sicuramente sufficiente per assunzioni e paghe regolari senza ricorrere ai caporali e mantenendo, nonostante le oscillazioni dei prezzi imposti dall’industria di trasformazione, un buon reddito e valore etico al proprio prodotto.
E tutto questo continua ad accadere mentre si è in attesa del processo di appello a Mimmo Lucano il quale così ha commentato alla testata del Manifesto l’operazione “Terra Rossa”: «Le mie critiche sono state sempre di natura politica e le sue dimissioni la dimostrazione che la luce si fa strada da sola». Ed ancora: «Troppi misteri si sono annidati nella Prefettura di Reggio quando a guidarla era Di Bari. Prima che lui arrivasse, Riace aveva avuto sempre rapporti molto stretti con la Prefettura perché era sempre disponibile ad accogliere a tutte le ore i migranti. Un filo diretto tra istituzione e seconda accoglienza che funzionava. Poi, con il cambio al vertice, tutto è iniziato a mutare. La Prefettura è diventato luogo ostile, era impossibile comunicare con i funzionari. In quel tempo la notorietà acquisita da Riace era alta e aveva attirato l’attenzione mondiale. Sono iniziate le ispezioni della Guardia di Finanza, dei funzionari prefettizi. Quattro relazioni in poco tempo, due a favore e due contrarie. Una di queste, quella più favorevole dove si descrive il modello di accoglienza di Riace, così come lo raccontava il mondo intero, è sparita. Abbiamo aspettato un anno con incessanti richieste formali dei miei legali prima di poterla leggere per intero. Un giorno mi presentai con padre Zanotelli in Prefettura e Di Bari si rifiutò di incontrarci. Mentre fu molto solerte e puntuale nel firmare l’autorizzazione a una manifestazione neofascista a Riace. Portarono le bandiere nere fin sotto al Comune. Una vergogna».

mercoledì 1 dicembre 2021


 GROTTELLINE TORNA AL VAGLIO DEL CONSIGLIO REGIONALE

Il nuovo Piano Regionale dei Rifiuti dopo il via libera della Giunta (19 ottobre) è approdato in Consiglio Regionale (30 novembre) per la definitiva approvazione.
Nella città dormiente di Spinazzola tuttavia come da consuetudine vige la consegna del silenzio: come risulta dagli atti nessun dibattito, nessuna manifestazione, nessuna osservazione è stata presentata dall’amministrazione per chiedere la definitiva cancellazione di Grottelline dal Piano Regionale dei Rifiuti.
Potrebbe - il condizionale in questa vicenda è sempre d’obbligo - tuttavia essere questa la volta buona per mettere la parola fine alla cervellotica scelta di realizzare impianti e immondezzaio a Spinazzola dopo trentuno anni di esasperazione.
Come documentato nel mio libro “Il caso Grottelline. Cronaca di un giornalista in provincia” la scelta servile del tentativo di distruggere un luogo di interesse storico, archeologico, naturalistico e paesaggistico per favorire le lobby della monnezza ha avuto inizio nel lontano 1990 con una amministrazione comunale PCI – DC. Poi sempre con il beneplacito dei politichicchi locali il sito è finito nel mirino della Regione Puglia principalmente dal 2004, prima con Raffaele Fitto poi con il governatore Nicola Vendola (detto Nichi) firmatario del contratto di realizzazione e gestione all’Ati Tradeco-Gogeam (Gruppo Columella per la Tradeco, al 51 per cento Marcegaglia Spa e 49 per cento Cisa Spa). Vendola si è speso parecchio, per poi essere smentito, nel voler far realizzare a Grottelline impianti e discarica.
In tutta franchezza dopo gli avvenimenti che hanno caratterizzato questa sporca storia (sequestri, collusione tra politica e lobby dei rifiuti, carte farlocche, documenti spariti, furti di memorie dei computer che contenevano i dati dell’impianto, interrogazioni parlamentari, trasferimento e richiamo dalla presidenza del Consiglio dei Ministri del faldone, vincoli delle Soprintendenza, ricorsi al Tar) ci si aspettava l’immediata cancellazione di Spinazzola dal Piano Regionale. Invece anche il successore di Vendola, Michele Emiliano - al suo secondo mandato - non ha brillato in prontezza e coerenza di propositi come invece aveva annunciato.
Spinazzola è ancora nel Piano dei Rifiuti come discarica “parzialmente allestita” se pur con paletti che sembrerebbero far propendere per la non realizzazione dell’immondezzaio. Ed infatti nel nuovo Piano l’impianto risulta avviato (si tratta dei primi lavori eseguiti prima del primo sequestro da parte della Procura di Trani) ma non completato. Il gestore inoltre non ha dato seguito alle opere di regimentazione del corso d’acqua limitrofo alla discarica, definito canale ma che in realtà è un ruscello perenne, poi assoggettato a procedimento di VIA grazie a una valanga di osservazioni. Risulta anche sospeso il procedimento di riesame di Autorizzazione Integrata Ambientale.
La scheda riferita a Spinazzola riporta la Sentenza del TAR Lazio (7252/2020) che ha sancito “l'annullamento, previa sospensiva, con ricorso introduttivo” di vari Decreti del Commissario Delegato per l’emergenza ambientale nella Regione Puglia a partire dal 31.1.2007, dei successivi, degli atti del procedimento di occupazione d’urgenza e di espropriazione; di tutti gli atti ai predetti comunque connessi, per poi concludere con un […omissis…].
In pratica ad essere bocciate, perché illegittime, le manfrine di Nicola Vendola e della sua Giunta, quelle dall’assessorato all’ambiente retto da Michele Losappio e poi dai suoi successori con cui si intendeva sanare le lacune del progetto, compresa la proroga paesaggistica. Una perla, questa, dell’allora assessore Angela Barbanente (Assetto del territorio). Bocciata pure l’estensione all’utilizzo degli impianti dal Bacino Ba/4 - a cui inizialmente la discarica era stata destinata (200mila abitanti) – all’intera provincia Barletta-Andria-Trani (400mila abitanti). Vendola autoproclamatosi “il governatore della rivoluzione gentile” in questa storia si è rilevato un mentitore seriale. Ma era in buona compagnia. Intanto, dopo il fallimento della Tradeco srl, dalla scheda regionale risulta che l’impianto sarebbe passato di mano dalla Gogeam a Progetto Ambiente Ba/4 indicata come titolare dell’autorizzazione all’esercizio. E ancora, nel Piano rifiuti la localizzazione di Grottelline è indicata erroneamente nel “Comune di Spinazzola (Città Metropolitana di Bari)”: tutti sappiamo che Spinazzola appartiene alla provincia Barletta-Andria-Trani.
La ciliegina finale è offerta da Ager Puglia (Agenzia territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti), agenzia guidata da Gianfranco Grandaliano che così ha sentenziato: «In seguito alla pronunzia del Giudice Amministrativo, nonché alle richieste dei Comuni di Poggiorsini e Spinazzola del 23 luglio 2020, visto il mutato scenario su scala regionale ed i fabbisogni e gli obiettivi ridefiniti dal presente Piano, si ritiene l’impianto complesso di trattamento meccanico biologico e discarica di servizio non sia più funzionale alla gestione del ciclo dei rifiuti in Puglia».
Non mancano altre anomalia. Sempre nel Piano alla sezione “Bonifica aree inquinate” Spinazzola è riportata per due siti: quello dell’ex discarica comunale, su cui sembra pendere un procedimento penale, ed il sito dell’Eni di Corso Umberto per perdita di carburante. Del tutto esclusa Grottelline dove su indagine condotta dai Carabinieri Forestali su mandato della Dda di Bari nel 2015 erano stati scoperti rifiuti interrati a dieci metri. Scenario non da poco! Se è vero, come si ciancia, di attendere la definitiva esclusione del sito dal Piano dei rifiuti per rilanciarlo degnamente come luogo di interesse storico-turistico, a chi toccherà rimuovere la monnezza interrata?
E anche su questo punto nessuna osservazione è pervenuta dal Comune di Spinazzola alla Regione Puglia.
Tutti questi fatti, ignorati dai redattori del nuovo Piano, sarebbero stati sufficienti per eliminare definitivamente Spinazzola dal Piano stesso? Cos’altro si attende?
Chi ha voglia di saperne di più acquisti e regali il mio libro per Natale, in attesa di conoscere, speriamo di no, altre alchimie partorite dal Consiglio regionale.

lunedì 29 novembre 2021

 

https://www.quotidianocontribuenti.com/new/puglia-e-criminalita-la-domanda-scomoda-di-papa-francesco/ PUGLIA E CRIMINALITA': LA DOMANDA SCOMODA DI PAPA FRANCESCO

di Cosimo Forina

È diventato virale il filmato di Papa Francesco che chiede ad un gruppo di pellegrini provenienti dalle città di Trinitapoli e Bisceglie (provincia Barletta-Andria-Trani) durante l’udienza di mercoledì 23 novembre: “La Puglia è un poco pericolosa, no?”. Alla domanda i pugliesi, un po' “straniti”, hanno risposto coralmente “no”.

Non si mente al Papa! Francesco ha dimostrato - a dispetto dei pugliesi - di essere ben informato!

I Media, i più, nel rilanciare il filmato hanno pensato che il riferimento del Pontefice fosse all’efferato omicidio, avvenuto a Barletta, del giovane 24enne Claudio Lasala accoltellato nella notte tra il 29 e il 30 ottobre a seguito di un litigio in un bar per un cocktail negato.

Una vittima innocente, una storia balorda. Fermati due giovani, uno di 20 anni l’altro di 18 anni, accusati di omicidio volontario aggravato dai futili motivi.

In Vaticano, probabilmente, devono però essere ben informati circa la lotta impari denunciata, ad ogni sua uscita pubblica, dal capo della Procura di Trani Renato Nitti che parla di carenza di magistrati e di investigatori nella provincia che risulta essere tra le prime 10 in Italia per penetrazione criminale.

Devono aver saputo, sempre oltre Tevere, anche degli otto arrestati per associazione mafiosa (416 bis) a Canosa di Puglia (15 novembre 2021), accusati di essere i mandanti e gli esecutori di diversi omicidi (lupare bianche) a danno di un confidente della polizia (marchiato come infame) e di altri omicidi finalizzati al controllo dello spaccio di sostanze stupefacenti. Delitti avvenuti tra il 2003 e il 2015 per lanciare - dice l’ordinanza di arresto – “un chiaro monito alla collettività locale e a quanti ostacolassero il loro controllo delle piazze di spaccio”. Fra i “moniti” sono compresi i colpi di pistola contro l’autovettura di un agente del commissariato della Polizia di Stato di Canosa che stava investigando su di loro e quelli di Kalashnikov contro giostrai che avevano tentato di sottrarsi ad un pizzo più oneroso destinato al mantenimento dei detenuti.

Un’ azione omicida che si è accanita contro le sue vittime con la distruzione dei cadaveri – che sono stati bruciati - per non farne trovare più traccia.

Un metodo aberrante che ha riportato le lancette indietro nel tempo ad oltre trent’anni fa, quando dominante sul territorio era il sistema mafioso capeggiato dal boss Salvatore Anacondia detto manomozza (poi pentito) autore, come da lui stesso affermato, di poco meno di duecento omicidi. Sistema mafioso giudicato nel maxiprocesso denominato “Dolmen” che ha visto inizialmente 170 imputati.

Papa Francesco con quella domanda, che segnala una attenzione particolare ai temi della legalità, rivela forse di aver letto con attenzione tutti i dati dell’indice della criminalità 2020 relativi alle 106 provincie italiane recentemente pubblicato dal Sole 24 Ore. Un indice che fotografa 37 tipologie di reato in una graduatoria in cui la Puglia con le sue sei provincie non è affatto un’isola felice.

Ecco i dati nella classifica finale riferita al numero di denunce ogni 100.000 abitanti: Foggia 11a (23162); Bari 21a (41355); Brindisi 52a (10615); Barletta-Andria-Trani 64a (10043); Lecce 67a (20276); Taranto 72a (14307).

Spicca il primo posto di Foggia per estorsioni. Sempre Foggia, insieme a Brindisi, è tra le prime dieci province italiane per lesioni dolose e omicidi volontari consumati.

Per i tentati omicidi (77 in tutta la Puglia) Foggia ottiene invece il secondo posto. Ancora primati per furti con strappo, di motociclo e di autovetture a Barletta-Andria-Trani (2179 furti) che è prima in Italia anche per le rapine in abitazioni e ancora in banca, uffici postali e contraffazioni di marchi e prodotti industriali. Foggia ancora sul podio (terzo posto) per riciclaggio. Per associazione di tipo mafioso le sei province pugliesi si posizionano tra il terzo posto ancora una volta di Foggia e il quarantatreesimo di Brindisi, con ben tre province tra le prime dieci.

La domanda di papa Francesco è quindi uno sprone ad andare oltre l’antimafia da salotto e sembra impegnare tutti ad agire per la Legalità e per la Giustizia senza più tentennamenti, senza nascondere la testa sotto la sabbia negando l’innegabile.

È vero, non è solo la Puglia a macchiarsi di crimini. Per certe versi il fenomeno criminale è meno diffuso che in altre regioni d’Italia ma purtroppo in prevalenza si registra un incremento del fenomeno mafioso.

La nostra è una nazione che alla proposta di Rai1 della visione del film “Lea” su Lea Garafolo - uccisa il 24 novembre 2009 per essersi ribellata al giogo della ‘ndrangheta - il 23 novembre ha preferito la partita di Champions League Chelsea-Juventus trasmessa da Canale5 (dati Auditel 3.091.000 spettatori pari al 13.8% per il film - 5.006.000 spettatori pari al 20.6% per la partita).

No, decisamente, non si mente al papa e neanche a se stessi.

https://www.youtube.com/watch?v=AK2n9OE4B2g

lunedì 12 luglio 2021


 SPINAZZOLA – BATTIATO- LA DINASTIA DEI MING

Chissà quante volte abbiamo ascoltato e cantato i versi della canzone “Centro di gravità permanente” di Franco Battiato (scomparso il 18 maggio 2021, a 76 anni) e certamente con nostalgia continueremo a farlo, pur senza comprenderne appieno il suo messaggio: simbolico, storico, con rifermenti ai grandi personaggi.

Il Maestro con le sue immagini solo in apparenza casuali in questa canzone ci restituisce al suo e al nostro senso di smarrimento, al rifugiarci nei nostri pensieri più intimi, per poi trovare stabilità ripartendo da se stessi verso la ricerca di quel “centro” intorno a cui gravita l’esistenza che si incrocia necessariamente con quella degli altri trovando la propria inspirazione.

Nell’incipit Battiato parte da: “i capitani contrabbandieri macedoni e la vecchia bretone con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù” collocandoci col suo sapere intellettuale in una citazione letteraria del famoso romanzo di R. Kipling. Nel prosieguo del testo, storicamente a metà del XVI secolo: “Gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming”.

Questo riferimento ci appartiene. Appartiene a Spinazzola ad uno dei suoi figli più illustri: il gesuita Michele Ruggeri, battezzato con il nome di Pompilio (Spinazzola, 28 ottobre 1543 – Salerno, 11 maggio 1607) il quale con Matteo Ricci (Macerata, 6 ottobre 1552 – Pechino, 11 maggio 1610) furono i primi ad evangelizzare la terra del Celeste Impero, la Cina, per l’appunto, durante la dinastia dei Ming (明朝Míng cháo, chiamata anche 大明帝国 il grande impero dei Ming) durata dal 1368 al 1644.

I due missionari Ruggeri e Ricci dell’ordine fondato da Ignazio di Loyola, ispirati nella loro formazione nel rigore di Euclide - grande matematico greco vissuto intorno al 300 a.C. ad Alessandria d'Egitto - nella iconografia che li rappresenta indossano abiti buddisti (bonzò) scelta finalizzata per meglio integrarsi nel Paese ospitante ed essere identificati come religiosi.

Se di Matteo Ricci se ne conoscono di più le virtù come religioso e studioso (è in corso il processo di beatificazione),  ingiustificata è quasi la messa in ombra di Michele Ruggeri, figura niente affatto secondaria.  

La grandezza di Ruggeri è tutta nelle sue opere: primo sinologo d’Europa ad aver raggiunto la Cina, ad averla in parte attraversata, ad aver imparato a comprendere, parlare, leggere e scrivere la complessa lingua del mandarino usata da letterati, nobili, magistrati in tutto l’impero.

Suo il primo Catechismo (Ttienciu Sce-lu) scritto e stampato in cinese (novembre 1584) con allegati i dieci Comandamenti. Sempre di Ruggeri la traduzione e diffusione nella terra del Celeste Impero del Padre Nostro, Ave Maria e Gloria.

I due partiti da Lisbona il 24 marzo del 1578 con altri dieci missionari per raggiungere l’India,  dopo lo sbarco a Goa giunsero a Zhaoqing, città da dove poi Ruggeri cercò di giungere a Pechino.

Dal grande seminario di San Paolo, Ruggeri venne inviato dal provinciale dell’India, padre Vincenzo Rui, prima a raggiungere un altro confratello nel Malabar, attuale stato del Tamil- Nada. A sorpresa il 12 aprile 1579 ebbe ordine di partire per Macao, emporio portoghese, per essere mandato in Cina.

Per evangelizzare essenziale è la conoscenza della lingua e Ruggeri, con grande capacità, riuscì a “entrare” nella lingua cinese, creandosi un proprio metodo di comprensione del tutto originale.

Il suo metodo venne ripreso secoli dopo dal pedagogista belga Ovidio Decroly per diffondere l’apprendimento linguistico.

Il missionario spinazzolese infatti, con l’ausilio di un pittore locale suo amico, per l’apprendimento associava la figura disegnata (esempio: cavallo) all’ideogramma cinese corrispondente, aggiungendo la romanizzazione italiana del suono.

Nel metodo Decroly-globale alla figura è associata la lettera iniziale del nome in carattere maiuscolo e minuscolo e la scrittura di tutto il nome. Tale metodo è diffuso in tutte le scuole del mondo ove le lingue sono basate sull’alfabeto. L’affinità dei due metodi parte dalla stessa intuizione: l’associazione della figura per l’apprendimento linguistico.

In questo modo, il nostro Ruggeri, acquisì cognizioni di 15 mila ideogrammi dei 60-80 mila che compongono l’idioma mandarino, sufficienti per confrontarsi con i nobili ed essere accettato da questi, diffondere il Vangelo e battezzare diverse famiglie, fondare le prime comunità cristiane in terra cinese.

Michele Ruggeri fu poeta, scrittore, dottore in diritto canonico, fondatore di una scuola per l’apprendimento della lingua cinese per stranieri, la Shengma’erding Jingyuan (la casa di San Martino) ed autore dell’Atlante della Cina.

Nel novembre del 1588, mentre Ricci ripercorreva la strada di Ruggeri, venne inviato a Roma per sollecitare il Papa affinché si provvedesse un’ambasceria pontificia al fine di ottenere per i missionari il permesso di soggiornare nell’Impero. Un progetto che per il susseguirsi di Papi non fu possibile perseguire.

Ruggeri, dopo i dieci anni trascorsi in Cina, si ritirò a Salerno, qui riprese il suo lavoro intellettuale per rendere più nota in Europa la cultura cinese.

Sua la traduzione latina dei Quattro libri (classici testi cinesi sull'introduzione alla filosofia di Confucio), di poesie in cinese e la diffusione delle carte geografiche la cui raccolta e pubblicazione è stata curata solo nel 1993 da Eugenio Lo Sardo (Roma, Istituto poligrafico e Zecca

dello Stato). Il manoscritto originale dell’Atlante della Cina datato 1606 è conservato nella Biblioteca dell’Archivio di Stato di Roma.

Il riferimento di Battiato è rivolto a due missionari che ebbero grande ruolo di evangelizzazione e senza ombra di dubbio a due uomini di scienza.

Peccato che lo stesso orgoglio che i marchigiani hanno destinato al loro Matteo Ricci non lo si riscontri nella Puglia e nella città che diede i natali a Michele Ruggeri. Rincuora di ritrovarne la sua pienezza nella poetica di Franco Battiato.

 

giovedì 3 giugno 2021

 SPINAZZOLA E I SEGRETI DEL BORGO

Diverse testimonianze sono presenti nel borgo antico di Spinazzola: pagine di storia non conosciute, attestazioni di cui si è perso il significato, frammenti di verità entrate nelle leggende.
Un affascinante rompicapo sicuramente sono i “cristogrammi” presenti in epistili di alcune abitazioni, recentemente riportati alla luce, su cui è riportato il trigramma I.H.S. la cui prima origine risale al III secolo.
Si tratta di una abbreviazione utilizzata nei manoscritti greci del Nuovo Testamento, su monete e oggetti sacri, che trovò larga diffusione nel Medioevo.
Nel XII secolo la sua diffusione si deve a Bernardo da Chiaravalle (Fontaine-lès-Dijon, 1090 – Ville-sous-la-Ferté, 20 agosto 1153), nel XV secolo a Bernardino da Siena (Massa Marittima, 8 settembre 1380 – L'Aquila, 20 maggio 1444) a cui resta associato anche oggi. Nel secolo successivo fama e utilizzo del trigramma si deve al fondatore dei gesuiti, Ignazio De Loyola (Loyola, 23 ottobre 1491 circa – Roma, 31 luglio 1556) che lo scelse come Sigillo.
Il monogramma, contrariamente a quanto si crede, non sta per “Iesus Hominum Salvator” o “In Hoc Signo”. I cristiani del III secolo lo utilizzarono infatti come abbreviazione del nome di Gesù scrivendo solo le prime tre lettere in greco, ΙΗΣ (dal nome completo ΙΗΣΟΥΣ). La lettera greca Σ (sigma) nell’alfabeto latino è scritta come “S”.
Nei pressi della chiesa San Pietro Apostolo a Spinazzola vi sono più cristogrammi, sicuramente realizzati in epoche diverse e di per se questo rappresenta un bel rompicapo.
Infatti la raffigurazione I.H.S. più antica è quella di via Caldarale su una abitazione edificata presumibilmente tra il XIII-XIV secolo che si raggiunge superando l’arco dove vi è una affresco parietale purtroppo lasciato in rovina: un santo che tra le mani ha un libro sacro.
Il cristogramma è posto sull’architrave della porta di ingresso e su una delle finestre sopra cui vi è in altorilievo uno stemma nobiliare ricoperto da calce.
In un cerchio scolpito su pietra è inserito I.H.S. sotto cui potrebbe essere rappresenta la lettera dell’alfabeto greco Omega, se pur allungata nelle estremità laterali o un simbolo con un altro significato. Forse, siamo nel campo delle ipotesi, la rappresentazione del monte Calvario. Di qualcosa di simile si ha riscontro anche nelle incisioni delle Voltoline nella città di Levigliani in provincia di Lucca.
Un’altra rappresentazione del trigramma, questa volta recante la data (1609), è quella posta su un’
abitazione nel vicolo che rasenta sulla sinistra la chiesa matrice.
Sull’architrave è scolpito “MAGIAC FER FF” sotto è riportato “A.D. 1609” a cui segue il cristogramma con monte Calvario (?) sopra cui appare una croce, ed ancora il simbolo di un “compasso” - espressione della massoneria - sormontato da una piccola croce.
L’enigma non è affatto concluso. Su un altro architrave in via Pignatelli appare una epigrafe, stravolta nel testo originario, in cui il cristogramma racchiuso in uno stemma sormontato da croce porta la datazione “A.D. 1602”.
Cosa potrebbe unire Spinazzola ai tre divulgatori che adottarono il simbolo I.H.S. del III secolo?
Poco probabile un filo diretto con il monaco Bernardo da Chiaravalle, abate e teologo francese dell’ordine cistercense.
Tuttavia nel 1119 alcuni cavalieri, sotto la guida di Ugo di Payns, feudatario della Champagne e parente di Bernardo, fondarono l'Ordine dei Cavalieri del Tempio. La presenza dei Templari a Spinazzola è conclamata: qui fondarono il loro primo ospedale della Puglia, esistono diverse testimonianze documentate sul territorio con possedimenti a servizio dei Cavalieri diretti o di ritorno dalla Terra Santa. È da attribuire a loro l’importazione del simbolo in terra murgiana?
Nella documentazione dei Frati Minori Conventuali si riporta che l’ordine, con licenza di Bonifacio IX (05-12-1391), eresse la chiesa e il primo convento dedicati a S. Francesco. Questo convento vide fra le sue mura fra Bernardino da Siena nel 1541. Il complesso è successivamente passato agli Osservanti (1474).
La datazione del 1541 è sicuramente errata: presumibilmente l’anno è il 1441, quando Bernardino nel 1437 divenne vicario generale dell'ordine degli osservanti. Nel 1438 venne nominato vicario generale di tutti i francescani italiani.
Grande teologo e predicatore, Bernardino fu sprone al rinnovamento della Chiesa cattolica italiana e di tutto il movimento francescano. Contrastò fortemente l’usura affrontando nei suoi scritti i temi della giustificazione della proprietà privata, dell'etica del commercio e della determinazione del valore e del prezzo.
Bernardino da Siena venne proclamato santo nel 1450 da papa Niccolò V, appena sei anni dopo la morte. Ed è ricordato per le sue prediche, trascritte in raccolte, e per la devozione al Santissimo Nome di Gesù. I fedeli che ascoltavano i suoi sermoni baciavano tavolette di legno incise con il monogramma JHS sormontato da un Crocifisso e attorniato da un sole.
Forse questo il legame più accreditabile con i cristogrammi presenti nel borgo antico, come per
segnare il passaggio del santo predicatore anche dopo oltre un secolo e mezzo dalla sua morte! E forse il frate con libro rappresentato nell’affresco è proprio San Bernardino da Siena, dipinto a sugello dei suoi insegnamenti.
Il legame tra Ignazio De Loyola e Spinazzola è testimoniato da Michele Ruggieri (Spinazzola, 28 ottobre 1543 – Salerno, 11 maggio 1607) che fu gesuita missionario in Cina e primo sinologo europeo. Entrato nell’ordine nel 1572 dopo essersi laureato a Napoli in utroque iure (diritto canonico e civile), raggiunta Macao imparò ben presto e prima di altri - tra cui il più noto Matteo Ricci - a scrivere e leggere in cinese iniziando l’evangelizzazione nel Celeste Impero.
Che i cristogrammi possano essere legati ai gesuiti - di cui però non vi è documentazione provante la loro presenza a Spinazzola come abbiamo visto essere stato per i frati minori, cappuccini e osservanti - è una ipotesi che non può essere esclusa.
Di certo il borgo antico di Spinazzola, malamente conservato e valorizzato nella sua storia, è un grande scrigno che racchiude secoli di misteri.

Fotografie Raffaele D'Oria

sabato 29 maggio 2021


 

ECONOMIA DALLA BELLEZZA

UN PONTE PER UNIRE ARCHEOLOGIA MINERARIA, PREISTORIA, CARSISMO

Dopo vent’anni si è assodato che le miniere di bauxite, geosito testimonianza di archeologia mineraria utile a candidare il Parco dell’Alta Murgia a patrimonio dell’Unesco, non andavano utilizzate, come auspicato da un “lungimirante” sindaco di Spinazzola, come discarica.

L’idea di un sito di sicuro interesse archeologico e patrimonio naturalistico ed identitario del territorio da utilizzare come discarica era stata accarezzata dalla criminalità che nel 2008 dentro le cave aveva scaricato ecoballe eludendo il lavoro della procura di Trani che, con il pm Antonio Savasta, non era riuscita ad individuare responsabili e provenienza dei rifiuti.

Le cave di bauxite, attrattore che richiama visitatori e che il cinema ha usato, facendosi carico dei costi per facilitarne la fruizione, rappresentano una location privilegiata e di forte impatto per esprimere la settima arte.

Ai componenti della troupe del National Geographic arrivati dalla Scozia nel 2019 per filmarle, le cave hanno fornito uno spettacolo del luogo che ha suscitato stupore e meraviglia per  conformazione e colori. Un fascino misterioso e arcano avvolge le miniere, da ultimo riprodotte su  un francobollo con tiratura di 200.000 esemplari.

Quello delle miniere di bauxite tuttavia non è l’unica espressione di bellezza della Murgia spinazzolese, territorio tra i più suggestivi dell’area protetta ma poco conosciuto. Ed infatti sulla collina opposta alle miniere di bauxite vi sono testimonianze del carsismo e della Storia, quella che merita la “S” in maiuscolo, che, pur nella trascuratezza politica e culturale di tanto considerevole patrimonio, fanno del luogo un unicum di sicuro interesse non solo locale e regionale ma internazionale.

Tutta la zona prende nome di “località Cavone” in ragione della presenza di una dolina di 20 metri in cui si trova una voragine che raggiunge l’abisso ad una profondità di 90 metri, classificata PU_21 nel catasto delle grotte naturali della Puglia. Rilevata nel 1919 da Carmelo Colamonico, è meta di formazione di speleologi, come quelli del Gruppo Speleologico Ruvese (GSR) e del Centro Altamurano Ricerche Speleologiche (CARS), ma andrebbe ripulita completamente dalle autovetture fatte cadere giù dalla criminalità nel corso degli oltre venti ultimi anni.

Poco distante dalla voragine, nel 2006, su scoperta e segnalazione dello scrivente alla Soprintendenza, l’Università di Pisa ha approfondito i suoi studi su un’area archeologica risalente all’età del Bronzo e soprattutto su un giacimento di incisioni risalente all’età dei Metalli - Riparo del Cavone – l’unico “racconto” dell’uomo rappresentato con figure antropomorfe, zoomorfe e simboli: tra le numerose ipotesi sul loro significato le più accreditate riguarderebbero la rappresentazione di una cerimonia, oppure quella di una scena di caccia o di un sacrificio, oppure, ultima supposizione, le incisioni riprenderebbero una scena di guerra.

Ad oggi, questo luogo così carico di tracce paradossalmente non è sottoposto a tutela e non è menzionato, a dispetto del suo valore antropologico, anche rispetto a incisioni simili attestate solo in Spagna.

Detto questo, ecco una proposta che potrebbe sembrare bizzarra, ma che in realtà trova applicazione in altre aree protette: unire le due colline con un ponte tibetano - nel suo genere sarebbe unico in Italia - che permetta così, in un unico percorso fruibile, di passare dalle attestazioni dell’archeologia mineraria a quella della preistoria e a quelle del carsismo formatosi in età cenozoica.

Il ponte si aggiungerebbe ai sei ponti tibetani più spettacolari e di forte richiamo turistico già presenti in Italia: il ponte di Cesana Claviere (Piemonte) attualmente il più lungo al mondo con 468 metri di lunghezza, 35 di altezza, quello della Luna, lungo 95 metri a 30 di altezza e quello della Gravina entrambi in Basilicata insieme ai due ponti in Veneto, quello della Valsorda lungo 52 metri, largo 70 centimetri, corrimano a 120 centimetri, a doppia percorrenza e il sentiero ferrato Ivano Dibona di soli 27 metri nello scenario delle Dolomiti e il ponte nel Cielo, in Valtellina, il più alto d’Europa 140 metrilargo un solo metro che si distende per una lunghezza di 234 metri.

La Murgia di Spinazzola, nel rispetto dell’area protetta, potrebbe davvero diventare un luogo di grande attrazione e potrebbe rappresentare una significativa opportunità di sviluppo. Ovviamente non prima di procedere a riportare in luce completamente il sito dell’età del Bronzo, tutelare le incisioni rupestri, mettendo in maggiore sicurezza l’inghiottitoio, magari con la realizzazione, lungo il percorso, di un orto botanico con piante spontanee del promontorio.

Solo per fare un esempio, in Basilicata a Pietrapertosa e Castelmezzano dove si pratica “il volo dell’angelo” che unisce le due località l’esperienza suggestiva, di richiamo nazionale, si completa con escursioni storico-naturalistiche.

Spinazzola, Parco dell’Alta Murgia, Regione Puglia proprietaria del sito, per non restare ferme alle miniere di bauxite potrebbero attuare questo progetto, potrebbero cioè investire su ponti per sconfiggere limiti, barriere, isolamento, per la valorizzazione del territorio e del fare impresa. La speranza è che non si debbano attendere vent’anni per percepirne la portata e per riconoscere il valore e le potenzialità del territorio su cui si mettono i piedi, di quelle pietre, segni lasciati dall’uomo e dalla natura su cui guardare dall’alto.