mercoledì 21 settembre 2011


IMMIGRATI NEI CAMPI
I LAVORATORI «ABBANDONATI»
LA TENDOPOLI
I braccianti nordafricani hanno trovato rifugio in una delle tante masserie abbandonate in zona Santa Lucia
CHIUSO DA LUGLIO
Da Centro di accoglienza richiedenti asilo (Cara) è diventato Centro di identificazione ed espulsione (Cie) sino al 31 dicembre 2011
Spinazzola, in 70 in un casolare
E a meno di 10 chilometri, a Palazzo San Gervasio, inutilizzato un centro di accoglienza
di Cosimo Forina
Braccia pagate dall’alba al tramonto a 4 euro all’ora, a volte 4,50 euro o 5euro quando la raccolta del pomodoro,in alcuni casi di peperoni, è fatta ancora a mano e non con le macchine. Arrivano dal Burkina Faso, Mali, Costa D’Avorio, Ghana o dal Sudan. In settanta, dicono, ma forse sono più di cento, hanno trovato “rifugio” piazzando le loro tende in una delle tante masserie abbandonate in località detta “Santa Lucia” di Spinazzola.
IL RIFUGIO
Qualcuno si è costruito un rifugio: piccole baracche innalzate con mezzi di fortuna. Altri dormono all’interno della masseria a terra in locali in cui manca il tetto. E’ qui che attendono la chiamata d’ingaggio, alla giornata, spesso in nero, per raccogliere l’«oro rosso» raggiunto a maturazione in questo periodo. Per riempire le grosse casse di plastica da caricare sui camion. Sono soldi, 30-40euro, frutto di vera fatica, indispensabili per la sopravvivenza, da mandare alle proprie famiglie che si trovano in condizione di stenti che sono, come raccontano, ancora più pesanti dei loro stessi sacrifici. Sino allo scorso anno questi lavoratori stagionali, uomini a cui è negata dignità - l’acqua potabile se la procurano ad una fontana ubicata ad una decina di chilometri, quella per lavarsi il corpo, pentole e stoviglie la recuperano da un ruscello- trovavano ospitalità nel centro di accoglienza di Palazzo San Gervasio. Una struttura nata a favore di questi lavoratori, grazie alla sensibilità e senso di umanità degli amministratori della città lucana che dista una manciata di chilometri da Spinazzola. Un centro munito di acqua corrente, docce, dove potersi disporre in campo in sicurezza, vicino ad un centro abitato dove fare acquisti, illuminato, quando al finire del giorno, di notte, al buio, si è costretti a piedi a ritornare alle proprie tende. Di colpo però questo luogo è stato sottratto al bisogno di questa gente, per lo più regolari, per essere trasformato, in nome dell’emergenza profughi, prima in Centro di accoglienza richiedenti asilo (Cara) e poi dichiarato formalmente Centro di identificazione ed espulsione (Cie). Per decreto, sino al 31 dicembre 2011.
L’EX CENTRO COMUNALE
Dal 15 luglio però l’ex centro comunale nato proprio per evitare accampamenti di fortuna, intorno a cui hanno innalzato alte mura di cinta, speso un mare di soldi, trasformato da campo di accoglienza a luogo di reclusione, come ha denunciato l’associazione “Articolo 21” in una interpellanza al ministro Roberto Maroni è stato serrato ed è totalmente vuoto, inutilizzato. Gestito prima dalla Croce Rossa il Cie di Palazzo San Gervasio ha ospitato circa 600 tunisini per alcuni mesi, dai 18 ai 35 anni, ed è poi diventato come ha affermato sempre “Articolo 21”: «off limits per stampa e televisioni e persino per l’Alto commissariato Onu. In seguito, a stretto giro di posta, anche la Croce Rossa è stata fatta uscire dalla struttura per essere amministrata interamente dalle forze dell'ordine e da una società privata, la Connecting People,un consorzio d'imprese con sede a Trapani che gestisce per conto del Ministero dell'interno praticamente tutti i Cie presenti sul territorio nazionale». Ora il paradosso è che questo complesso di elementi con i suoi servizi e spazi, nel pieno della raccolta nei campi, che richiama centinai di lavoratori stagionali, è chiuso. Mentre le persone sono lasciate vivere in abbandono senza nessuna assistenza.
CONDIZIONI INCREDIBILI
Il richiamo della condizione in cui versano questi cittadini giunti dal mondo, da Paesi in guerra ed in carestia, lasciati oltre il limite del tollerabile, è finalizzato a trovare la sensibilità dei sindaci, tanto di Palazzo San Gervasio che di Spinazzola, affinché con il potere a loro affidato possano intervenire per chiedere, almeno sino alla fine della raccolta dei prodotti agricoli, la riapertura temporanea del centro di accoglienza. Una ventina di giorni al massimo. Un appello che trova la necessità di estendersi alle Caritas locali, alle parrocchie, che possono farsi carico di questa istanza che è, ci si creda, una vera emergenza. Queste persone capaci comunque di accoglierti con un sorriso, timorose di essere mandati via, sono pronte a rinunciare a tutto ed accettano, quale fosse una sorte irreversibile, la loro condizione di precarietà inesorabile. Difficile però far finta di nulla. Diceva don Tonino Bello: «I poveri, quelli veri, hanno sempre ragione anche quando hanno torto». E sarebbe un torto girare lo sguardo altrove, per evitare di dare delle risposte, come in questo caso, su una degna accoglienza. Quella che spetta a tutte le persone.
LA STORIA COSÌ ARRIVANO DA OGNI PARTE DELL’AFRICA E POI RIPARTONO, ADATTANDOSI A OGNI CONDIZIONE
La guerra tra Regioni e il popolo delle braccia
Respinti sul confine di due Regioni. C’è anche questo nell’assurda condizione dei lavoratori stagionali, senza i quali i campi di pomodoro marcirebbero senza essere raccolti. Questo tipo di coltura si estende prevalentemente in Basilicata ma non mancano campi di oro rosso sul versante pugliese ed in particolare a Spinazzola. Un giro di affari non da poco. Una volta raccolti i pomodori vengono consegnati alle aziende di conservazione prevalentemente della Campania. E da qui, lavorati, finiscono sulle tavole degli italiani ed all’estero etichettati con i nomi delle più svariate e pregiate aziende dell’agroalimentare: «la pommarola dal sapore mediterraneo». A spezzarsi la schiena per la raccolta sono però gli immigrati, sporadicamente qualche italiano. E’ per questa ragione che puntualmente da anni, richiamati dai quattro soldi messi a disposizione dai coltivatori, quando non soggetti al caporalato, gli stazionali arrivano sul territorio occupando con le loro tende casolari abbandonati più o meno vicini ai centri abitati. Capaci pur in condizioni estreme di organizzarsi anche con una sorta di fureria mobile che si occupa di rispondere alle esigenze della sopravvivenza del gruppo pur se suddiviso per nazione di provenienza. Finché il centro di accoglienza di Palazzo San Gervasio ha funzionato, il problema, se tale si può definire, dell’occupazione di immobili rurali fatiscenti, si era attenuato. Anche perché, la stessa Prefettura, aveva obbligato i proprietari dei ruderi a murarli. Lo scorso anno lo spazio di Palazzo San Gervasio poi trasformato a Centro di Identificazione ed Espulsione è stato fatto trovare sbarrato. Ciò nonostante, il fiume delle braccia di colore, lo aveva occupato sino allo sgombero fatto eseguire dalle forze dell’ordine, che si sono preoccupate di far lasciare a questa gente solo il territorio della Basilicata. Ovvero poco meno di cinquecento metri nel territorio di Spinazzola. E’ per questa ragione che ora si trovano a far tappa nelle masserie spinazzolesi. C’è un dato curioso: chi pianta i pomodori non si interessa di creare le condizioni per accogliere chi deve poi raccoglierli. Per loro sono braccia da usare la mattina per riempire camion da far partire. I comuni dove vi sono i campi a coltura di pomodoro scaricano le proprie responsabilità girando lo sguardo altrove. Non prevedendo in tempo utile la realizzazione di campi attrezzati per accogliere questi lavoratori. Ed in questa situazione che si alimenta, tra il confine di due regioni, la Puglia e la Basilicata, la guerra ai poveri. Il popolo di braccia tra una ventina di giorni svanirà per ripresentarsi con le stesse criticità il prossimo anno.

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